Pressione alta, iperteso 1 italiano su 3. Ma molti non lo sanno
29 Settembre 2016 - di Mari
ROMA – Pressione alta, sono 17 milioni (uno su tre) gli italiani ipertesi. Ma solo uno su due lo sa. E le sorprese non finiscono qui. Perché la principale causa di malattie cardiovascolari (infarto del miocardio, ictus cerebrale, scompenso cardiaco) che in Italia provocano 240 mila morti ogni anno, pari al 40% di tutte le cause di morte – non è solo “roba da grandi”, tutt’altro. L’ipertensione è una condizione frequente nell’infanzia e nell’adolescenza. Un problema sottostimato per la scarsa diffusione dell’abitudine di misurare la pressione a bambini e ragazzi.
A lanciare l’allarme sono cardiologi e pediatri, che sottolineano come 4 bambini su 100 sono ipertesi già alle elementari.
“Tutti sono a rischio, a qualunque età, sottolinea il professor Gianfranco Parati, presidente della SIIA (la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa). E i dati epidemiologici più recenti lo confermano. Documentano infatti una elevata prevalenza dell’ipertensione arteriosa in Italia e nel mondo. Nel nostro Paese ne soffre un terzo della popolazione ma, nonostante la disponibilità di terapie efficaci e mirate per la grande maggioranza dei casi, solo un paziente iperteso su quattro è adeguatamente curato”.
Fondamentale contro la ipertensione è la prevenzione. Quindi bisogna misurare regolarmente la propria pressione arteriosa, a cominciare dall’età della scuola, e correggere il proprio stile di vita. I nemici sono il sovrappeso e il sale, ma anche la sedentarietà. E’ importante seguire una alimentazione ricca di frutta e verdura, fare attività aerobica almeno per mezz’ora al giorno e, se necessario, iniziare una terapia farmacologica.
“La terapia va iniziata precocemente, dice il dottor Parati, prima che si sviluppino danni agli organi bersaglio dell’ipertensione, prima cioè che il rischio di eventi cardiovascolari diventi un reale pericolo. Solo così si possono veramente prevenire le gravi complicanze dell’ipertensione arteriosa e avere più probabilità di vivere a lungo e bene. Non è tanto l’aggressività con cui si riduce la pressione arteriosa che fa la differenza in termini di riduzione del rischio di complicanze cardiovascolari, quanto la precocità degli interventi”.