8 malesseri legati al mondo del lavoro spiegati con 8 film
5 Maggio 2023 - di Claudia Montanari
Quali sono le situazioni di malessere più diffuse nel lavoro? Chi colpiscono maggiormente e perché? Per riconoscerle, Serenis, piattaforma di psicoterapia online, ha selezionato 8 film che portano in scena il volto più viziato del mondo del lavoro di oggi tra precariato, abusi, manipolazioni e discriminazioni.
Ambiente di lavoro tossico, iperproduttività, mobbing, sfruttamento, diritto alla disconnessione, gender gap, precariato, disoccupazione: sono solo alcuni dei fenomeni più comuni che combattono i lavoratori di oggi in un contesto in cui, secondo l’ultimo Report State of the Global Workplace 2022 redatto da Gallup, il 44% delle persone nel mondo
soffre di stress da lavoro.
Un nuovo massimo storico che fotografa una situazione indubbiamente preoccupante. Ma quali sono i disagi più diffusi in ambito lavorativo? Chi interessano maggiormente e come riconoscerli?
Con l’obiettivo di spiegare le fenomenologie più frequenti attraverso l’esempio di alcune scene famosissime tratte dalle pellicole del grande schermo, Serenis (www.serenis.it), piattaforma di psicoterapia online e centro medico autorizzato dall’ATS, ha selezionato 8 film che raccontano il volto più viziato del mondo del lavoro odierno.
1) The Wolf of Wall Street: iperproduttività e manipolazione mentale
Questa pellicola del 2013, diretta e prodotta da Martin Scorsese, mette in scena la manipolazione mentale. “Vendimi questa penna” è la richiesta iconica del broker protagonista che simboleggia l’arte di vendere, di offrire e di sedurre il pubblico attraverso la creazione di un bisogno, che non necessariamente ha una natura fisica, e gli squali di Wall Street come lui ne sono consapevoli.
La manipolazione altrui diventa godimento e stordimento in una sequela di truffe e goliardie che affascinano e disgustano allo stesso tempo. Non esistono confini né ritmi umani in una vita controllata da denaro, sesso e droghe.
2) 7 minuti: diritti del lavoro e delle donne
E se un’azienda chiedesse ai propri dipendenti di contrattualizzare la riduzione di 7 minuti della pausa pranzo? Michele Placido lo racconta in questo film del 2016 che, in uno scenario di crisi economica dominato dalla paura, costringe lo spettatore ad attivare il proprio sistema millenario di attacco e fuga per mettersi al sicuro, qualsiasi sia la posta in gioco.
Ma rinunciare a un diritto ha sempre un prezzo: poco alla volta la perdita diventa gigante e le ripercussioni sugli altri enormi. Le operaie protagoniste hanno sulle spalle il peso di centinaia di vite in difficoltà, con l’impulso della salvezza a fare da spada di Damocle e il senno del poi a generare un faro nella nebbia. Un peso triplicato per le protagoniste di sesso femminile.
3) L’avvocato del diavolo: disconnessione
Un giovane avvocato che vende la propria anima al diavolo per inseguire un sogno lavorativo. La spinta alla crescita professionale e la relativa disconnessione dalla realtà, in questa pellicola del 1997 diretta da Taylor Hackford, vengono dipinte a tinte forti nel dilemma più arduo che appartiene a molti lavoratori alle prime armi dal buon potenziale: sacrificare tutto per raggiungere la vetta del mondo o fare un passo indietro?
4) Lo stagista inaspettato: divario di età all’interno dello stesso ambiente di lavoro
Esiste un’età di scadenza quando parliamo di produttività? Questo film del 2015, scritto e diretto da Nancy Meyers, affronta il tema del divario di età all’interno dello stesso luogo di lavoro. Il vecchio è saggio, il vecchio ha fiumi di esperienza, il vecchio sa il fatto suo…ma è vecchio.
E se invece quella saggezza diventasse supporto? Se non ci fossero guerre, ma confronti? Se la differenza contribuisse a unire, anziché dividere? Un ambiente lavorativo può integrare esperienza e innovazione, senza incorrere in un gioco crudele su “chi schiaccia chi”?
5) Il Diavolo veste Prada: ambiente di lavoro tossico
Andrea sa di avere talento e, pur di ottenere ciò che vuole, accetta di vivere in un limbo per un anno. La giovane aspirante giornalista protagonista di questa pellicola del 2006 firmata David Frankel, viene risucchiata in una spirale sempre più stringente di compromessi e abusi lavorativi, ma anche di confronti spietati e malsani, che la cambieranno poco a poco dall’interno, scomponendo il suo essere in tasselli smaltati e perfetti in balìa di un’estetica che aveva sempre odiato. Ma che vuoi che sia?
“Non ho scelta” è la frase d’onore nella quale emerge tutto il sacrificio del talento all’altare della manipolazione. La sua direttrice, una virago affetta da un narcisismo estremo, immersa fino ai capelli perfettamente in piega nella solitudine più cupa, sarà un monolito con il quale confrontarsi per ritrovare la propria identità e passione originaria.
6) Smetto quando voglio: precariato
Quanto può essere labile il confine tra onore e disperazione? Fin dove può spingersi l’essere umano pur di vivere quel senso di eccesso tanto agognato? Lo racconta questa pellicola di Sydney Sibilia del 2014 in cui il giovane ricercatore
universitario protagonista mette in piedi una banda criminale formata da illustri menti come la sua, che finisce per mettersi in guai molto più grandi di quanto si possa apprendere dietro a una cattedra.
Fuggire all’estero quindi? Magari… perché si potrebbe finire a pescare salmoni in Norvegia a -20 gradi. La passione è un carburante efficace nonostante la disperazione per chi ha ambizioni e un sogno nel cassetto.
7) 1984: alienazione
Nelle distopie, il lavoro diventa spesso lo strumento principe della divisione sociale. Paura e protezione sono i sentimenti rappresentati in questo film del 1984 diretto da Michael Radford, nel quale il lavoro raggiunge la più alta vetta dell’alienazione umana, agendo al contempo da incentivo alla discriminazione e da riparo accogliente. Tira dritto, non alzare la testa, non farti domande, non pensare, sii produttivo per non correre il rischio di essere notato.
8) Full Monty: ricerca del lavoro e disoccupazione
Questo film del 1997 diretto da Peter Cattaneo porta sul grande schermo il precariato, i problemi economici e la disoccupazione. Alcuni operai a spasso, ispirati dal giovane padre Gaz, per guadagnare qualche sterlina si improvvisano spogliarellisti.
Il lavoro, per un genitore, è accoglienza, sostegno e autoefficacia. Ma quando manca lascia spazio al fantasma del disonore colpevole e la vergogna di sé isola e allontana gli unici affetti che contano.
Malesseri a lavoro, il parere dell’esperta
Martina Migliore, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale ed esperta di Superhero Therapy, spiega:
“Il mondo del lavoro negli anni si è trasformato, spinto dalla situazione socio-economico-culturale presente, e, insieme a lui, si sono evoluti i disagi e le frustrazioni che lo viziano. Da un lato, disoccupazione, precariato e alienazione tendono a non cambiare forma; dall’altro, abusi nuovi e negazione dei diritti alimentano il malessere psicologico dei lavoratori che chiedono sempre più aiuto a causa loro”.
“Nella maggior parte dei casi, per fortuna, le persone acquisiscono gli strumenti e la forza necessari per riconoscere e affrontare le loro problematiche con il sostegno di figure apposite, come lo psicoterapeuta, ma per chiedere un supporto è necessario prima di tutto rendersi conto che esiste un problema e non tutti hanno le stesse possibilità di raggiungere questa consapevolezza. La rappresentazione di fenomeni complessi e dolorosi attraverso il grande o il piccolo schermo li rende più accessibili e affrontabili: diventa possibile parlarne, concretizzare la loro esistenza e soprattutto normalizzarli, visto che la sofferenza ha l’immediato effetto di farci sentire più soli”.
“La rappresentazione della difficoltà sul grande schermo ci aiuta a prendere coscienza dell’esistenza di un problema da risolvere attraverso l’immedesimazione e ci rende più facile la ricerca di una soluzione e del pensiero critico in generale. In assoluto, se sentiamo di vivere una difficoltà, è sempre bene rivolgersi a un professionista e chiedere aiuto. A volte, anche quando tutto sembra nero e insormontabile, può aiutare anche solo cambiare prospettiva e guardare l’ostacolo con una lente diversa per accorgersi che è più facile di ciò che sembra”.