“Abolire i voti a scuola”: proposta in Francia fa discutere anche l’Italia
25 Giugno 2014 - di Claudia Montanari
PARIGI – Voti a scuola: abolirli, mantenerli, o sostituirli in qualche maniera? Il ministro dell’Educazione nazionale francese, Benôit Hamon, ha lanciato una conferenza nazionale in merito alla valutazione degli alunni. È giusto mantenere i voti a scuola? O sarebbe meglio abolirli per non scoraggiare gli alunni? Questo dilemma viene affrontato in questi giorni in Francia.
L’iniziativa di Hamon parte dagli ultimi dati rilevati dallo studio triennale Pisa (Programme for International Student Assessment) pubblicato dall’Osce. Il ministro ha dichiarato:
“L’ultima inchiesta Pisa lo ha dimostrato: i giovani francesi sono quelli che temono di più l’errore e che presentano i tassi più elevati di non risposta alle domande, per paura di sbagliare. È il momento di tornare a riflettere su un nuovo modo di valutare, al servizio dell’apprendimento e dei progressi degli allievi”.
Ancora, secondo il ministro i voti dovrebbero essere dati a ragion veduta:
“Uno scolaro che ha difficoltà in grammatica e sintassi prenderà uno zero in dettato. Se anche progredisce in sintassi ma continua a fare errori di grammatica, continuerà a prendere lo stesso zero. Come facciamo a cogliere il fatto che c’è stato un miglioramento? Il voto può essere utile, ma se diventa un fattore paralizzante, meglio sostituirlo con altre forme di valutazione”.
Il dibattito sull’annosa questione ha già varcato i confini d’oltralpe per approdare nel nostri Paese. Francesco dell’Oro, a lungo responsabile dell’orientamento scolastico per il Comune di Milano e autore di La scuola di Lucignolo (Urra-Feltrinelli), ha dichiarato:
“Fanno i bene francesi, il voto è un’arma impropria. Eviterei i voti nella scuola primaria e alle medie. A livello personale ti esaltano se sei bravo e ti feriscono se sei in difficoltà. Nella classe aizzano i confronti, mentre oggi la capacità di fare gruppo è la competenza più richiesta sul lavoro. Invece di far capire ai ragazzi che la difficoltà è un’opportunità di crescita, creano situazioni giudicanti che diminuiscono la loro autostima”
Non tutti sono d’accordo. Paola Mastrocola, docente in un liceo torinese, romanziera e saggista (Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare , Guanda), ha detto:
“La convinzione di non dover frustrare gli studenti è un errore clamoroso. Oggi diamo sei a tutti, perché siamo noi adulti i primi a non sopportare la frustrazione. Se metto insufficienze, il giorno dopo mi arrivano i genitori, e spesso piangono. Invece un ragazzo ha bisogno di un adulto che davanti a un compito sbagliato glielo dica in modo deciso: è orribile”
In merito alla questione ha preso parola anche Anna Maria Ajello, presidente dell’Invalsi:
“Non dare voti brutti non significa che non bisogna valutare. Ma che si può fare in un modo diverso. I giudizi sono un modo per informare gli alunni del loro rendimento: se indicano ciò che va bene, ciò che va male e ciò che va migliorato non c’è il rischio di stigmatizzare comportamenti che poi finiscono per etichettare i ragazzi con la tipica frase “non è portato per””
Insomma, il dibattito è aperto: è giusto abolire i voti a scuola? I bambini ne trarrebbero giovamento oppure no?