Riforma del lavoro: articolo 18, reintegro. Imprese “deluse”
5 Aprile 2012 - di Claudia Montanari
ROMA – “Inaccettabili” sono per le imprese le modifiche sulla Riforma del Lavoro. Si sentono tradite dal compromesso di Monti: la riesumazione del reintegro per motivi economici sovverte il delicato equilibrio che aveva permesso il via libera dei produttori alla Riforma. Avevano accettato il parziale irrigidimento della flessibilità in entrata proprio per vedere assicurata una maggiore flessibilità in uscita. Queste “maggiori rigidità trovavano un logico bilanciamento nella nuova disciplina delle flessibilità in uscita”. A fronte di questo equilibrio, Confindustria, Abi, Ania, Alleanza delle cooperative e le altre organizzazioni imprenditoriali “si erano risolte a sottoscrivere il verbale, proposto dal presidente del consiglio, che concludeva il confronto tra le parti”.
Le modifiche che oggi vengono prospettate sulla stampa “vanificano il difficile equilibrio raggiunto e rischiano di determinare, nel loro complesso, un arretramento piuttosto che un miglioramento del nostro mercato del lavoro e delle condizioni di competitività delle imprese, rendendo più difficili le assunzioni”. Mentre Rete Imprese Italia chiede: “Il governo convochi le parti sociali ed illustri loro le modifiche approntate alla riforma del mercato del lavoro prima che il nuovo testo venga varato dal Consiglio dei ministri”.
Senza una buona riforma sarebbe stato meglio nessuna riforma, è la sintesi che descrive la delusione delle imprese. Per spiegare come sia stato violato il meccanismo compensativo, o “equilibrio per sottrazione”, si porta l’esempio della possibilità del reintegro del lavoratore licenziato per motivi disciplinari. Le imprese preferivano il reintegro sono per motivi discriminatori e basta, per tutto il resto solo indennizzo. Avevano accettato il compromesso sul reintegro per i licenziamenti disciplinari in cambio della riduzione delle mensilità che le aziende devono pagare come indennizzo, passando dalla forchetta di 15 e 27 mensilità tra minimo e massimo alle 12 e 24 mensilità. E anche qui concedendo più mensilità della media europea e delle 18 adottate dalla Germania, ogni volta presa a modello da imitare.
Risultato, le aziende devono digerire il reintegro per motivi economici. Con i giudici di nuovo arbitri e censori di ciò che attiene alla sfera economica, abilitati a decidere su materie spesso aleatorie: chi fa investimenti accetta una porzione di rischio e scommette contando sulla sua sensibilità e sui suoi capitali, decidendo, per esempio, di spostarli dalla forza lavoro all’automazione, dalle braccia al know how. Quali sono le competenze di un giudice in materia? Il mito infranto del tabù dell’art. 18, per le imprese non è una rivoluzione, al massimo l’incrinatura del vaso. Per loro non può bastare.