“Per questa frase il militare era stato condannato dal tribunale militare di Roma a tre mesi di reclusione per diffamazione pluriaggravata, per poi essere assolto in secondo grado per insussistenza del fatto perché l’anonimato delle offese sul social network impediva, secondo i giudici, l’identificazione della vittima. Niente di più sbagliato per la Suprema Corte, che ha annullato l’assoluzione accogliendo il ricorso del procuratore generale militare, secondo cui la pubblicazione su Facebook aveva semmai ottenuto l’effetto opposto, permettendo la conoscenza delle frasi offensive da parte di più «soggetti indeterminati iscritti al social network» e che «chiunque, collega o conoscente dell’imputato, avrebbe potuto individuare la persona offesa»”
“Determinante, in questo caso, anche il fatto che il soggetto avesse un profilo aperto: «Le impostazioni di privacy della bacheca sono un dettaglio importante », spiega Caterina Malavenda, avvocato esperto di diritto dell’informazione e del reato di diffamazione. «Se la bacheca è aperta e quindi accessibile a chiunque sia iscritto al social network, si può considerare Facebook un mezzo di comunicazione di massa, facendo scattare anche un’aggravante, perché appunto non limitata a destinatari specifici. Questa sentenza non mi stupisce affatto, in fondo i social network sono solo dei mezzi per di diffondere messaggi, che appunto in alcuni casi possono essere anche diffamatori. Twitter da questo punto di vista è anche più pericoloso rispetto a Facebook, perché con il meccanismo dei retweet consente una diffusione ancora più ampia, esponenziale»”
“«Paradossalmente, insultare in forma anonima qualcuno nella vita reale è meno rischioso», conferma Guido Scorza, avvocato, esperto di diritto delle nuove tecnologie e blogger. «Invece su Facebook bisogna fare particolare attenzione perché si agisce nell’ambito di una rete sociale limitata e molto spesso condivisa. Per un semplice calcolo statistico è molto probabile che alcuni dei miei “amici” siano amici anche del soggetto che viene offeso. Probabilmente, se il finanziere avesse detto le stesse cose in un bar, le persone in ascolto non avrebbero capito di chi stava parlando e le conseguenze sarebbero state meno gravi»”
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