Dubai, scontri di cultura: mini e scollature, si o no?
24 Maggio 2012 - di Claudia Montanari
DUBAI – È vero, da quelle parti ci hanno ambientato il film “Sex And The City 2″, ma Dubai è Dubai e sempre di Emirati Arabi stiamo parlando. Così ecco che con l’aumento delle temperature ed il conseguente diminuire dei centimetri quadrati dei vestiti, basta un twitt per alzare i bollori e far partire il dibattito: è più importante assicurare libertà a turisti e residenti stranieri o proteggere tradizione e religione degli Emirati Arabi Uniti? Il problema di fondo è che la ormai metropoli è conosciuta ed apprezzata per la tolleranza con cui accoglie duecento nazionalità sul territorio, ma ultimamente vede che l’area sfocata in cui sono state lasciate certe questioni comincia a tradursi in insofferenza da parte dei ”locali”. E non solo loro.
Così l’hashtag#Dubaidresscode (codice di abbigliamento) di due ragazze emiratine ha innescato un dibattito pubblico approdato a piene pagine sulla stampa con appelli sia al ”buon senso individuale” che ad un più stretto giro di vite contro ”le indecenze” da parte delle autorità.
Le leggi ci sono, argomentano in molti, che si facciano rispettare, suggeriscono. Negli Emirati Arabi Uniti, paese arabo-musulmano, un codice di abbigliamento appropriato dovrebbe essere abbastanza scontato da intuire e rispettare. Difficilmente a qualcuno verrebbe in mente di fare shopping in Qatar, in Kuwait o Arabia Saudita con profondi decolleté o minigonne vertiginose.
Non é così a Dubai. Paradossalmente per sua stessa concessione. In un primo momento l’emirato ha giocato la carta della tollerenza per attirare professionisti e tecnici stranieri indispensabili per costruire e gestire il Paese, offrendolo come un luogo in cui ”sentirsi come a cosa propria”, ma questa politica comincia a rivelarsi un boomerang.
Sia per gli emiratini, che si sentono soffocati e in alcuni casi saccheggiati della propria idendità dai residenti stranieri, che costituiscono ormai oltre l’80% del tessuto sociale, sia per gli stranieri, che quasi senza rendersene conto finiscono in prigione per atteggiamenti sessuali troppo evidenti o per un bicchiere bevuto nel luogo sbagliato.
All’entrata dei centri commerciali sono comparsi dei poster che invitano ad un ”abbigliamento rispettoso”. Una barra rossa corre in diagonale sulle icone di top, shorts e minigonne. Ma il messaggio è tropppo vago: quanto corta può essere una gonna? Quanto una manica? Fino a che punto sono tollerate dimostrazioni d’affetto? E solo per le coppie sposate? Chi può bere, dove e a quali condizioni? Questi gli intorrogativi ai quali turisti – e residenti – non sanno rispondere con precisione, offendendo la cultura emiratina o peggio, finendo loro stessi nei guai con la giustizia, con conseguenze che vanno dalla reclusione alla deportazione.
Occorre più educazione, è il commento più diffuso. Occorrono brochure distribute insieme ai visti al momento di ingresso nel Paese, volantini informativi negli hotel e nei locali, più collaborazione con le agenzie di viaggio, invocano in molti. D’altra parte, si osserva, occorre maggior rispetto da parte di chi vive già qui, di più ”chiarezza,” ”sorveglianza” e applicazione della legge da parte delle autorità emiratine.
Fonte: Ansa