La Romana: la donna che ha (com)battuto l’amianto
4 Giugno 2012 - di Claudia Montanari
CASAL MONFERRATO – Eternit si chiama, ma il nome non inganni perché di eterno non ha proprio niente. E Romana Blasotti, classe 1929, da più di trent’anni si batte per sconfiggerla, l’Eternit, la più grande fabbrica di amianto di Casale e del Monferrato che per tutto il XX secolo ha causato migliaia di vittime a causa della mesiotelioma.
Qualche sospetto Romana, la “piccola ma grande donna”, ce lo ha avuto fin dai primi giorni che, sposatasi con Mario, l’uomo della sua vita, è andata a vivere con lui a Casale Monferrato. Quei “manifesti mortuari” lungo la fabbrica Eternit l’hanno scossa fin da subito. Operai che morivano, cadevano uno dopo l’altro per via del mesiotelioma, ma tutti tacevano. Poi nel 1983 morì anche il suo Mario, e pochi anni dopo anche la sorella Libera, e poi anche la nipote. E intanto Romana ha iniziato la sua lotta contro la morte. Poi nel 2004 le morì anche Maria Rosa, la figlia secondogenita. Eppure Romana nonostante queste tragedie non si è mai arresa e anche oggi, dopo 30 anni, non smette di raccontare ed affrontare la sua lotta.
E se è arrivata la sentenza del processo di Torino del febbraio scorso parte del merito va anche a lei e alla sua associazione, che si è battuta fino all’ultimo per non ritirare l’accusa, di fronte ad un grosso risarcimento da parte della proprietà: “Ho pianto quando è morto mio marito, ho pianto quando ho seppellito mia figlia, ma ora non riesco più a piangere” spiega Romana.
Perché, si legge su “FQ Italie”, la lotta per la giustizia iniziata dalla Blasotti benché abbia portato alla chiusura della fabbrica non è ancora finita: “Ancora oggi, a decenni dalla chiusura della fabbrica nel 1986, ne muoiono una cinquantina l’anno. La Romana li ricorda tutti e tutto sa della scia infinita di umanità dolente di figli senza padri e di padri senza figli e di vedove sole”.
Vuole giustizia, Romana, e non solo economica: la soddisfazione di sentir pronunciare da parte del Giudice la parola “colpevole” verso coloro che pur sapendo la pericolosità dell’amianto continuavano a far morire i propri operai, non ha prezzo. Ricorda con piacere e con ammirazione il Giudice Giuseppe Casalbore e il pm Raffaele Guariniello: “Erano bravi quei giudici. Sembrava che pensassero solo alle carte e invece avevano un cuore, e noi lo sentivamo. Fino alla sentenza di condanna per disastro doloso. Sedici anni contro i proprietari e indennizzi vicini ai 100 milioni di euro. Tre ore ed un minuto solo per leggere i nomi delle parti civili” si legge su “FQ Italie”.