Belen Rodriguez, Shakira… vip, mania dei figli sui Social: giusto o sbagliato?
22 Settembre 2014 - di Claudia Montanari
ROMA – Postare foto dei propri figli, anche molto piccoli, sui Social Network è ormai diventata una mania dilagante tra vip e starlette, che non perdono occasione DI condividere con i fan ed i Follower momenti quotidiani con i propri bimbi. Ma è giusto postare sui Social foto dei propri figli?
Elena Tebano ha analizzato la questione sul Corriere della Sera ha scritto:
“C’è chi sembra farsi pochi problemi, soprattutto tra i genitori famosi: i profili Instagram (il più noto sito di condivisione immagini) di Angelina Jolie, Sarah Jessica Parker o Shakira, tanto per fare qualche esempio, sono piene delle foto dei rispettivi pargoli. Lo stesso vale per la showgirl nostrana Belén Rodriguez, che litiga spesso con i paparazzi, ma riempie Instagram di selfie con il figlio. Altri sono più accorti: la conduttrice tv Alessia Marcuzzi fotografa volentieri le figlie, ma gli scatti pubblicati online non mostrano mai il loro viso.
La scrittrice e conduttrice Selvaggia Lucarelli usa ancora un altro approccio: «Pòsto ogni tanto qualche immagine di mio figlio Leon, che ha nove anni, ma solo dopo avergli chiesto il permesso: lui è molto lucido su questo, è il primo che mi chiede di rispettare la sua privacy. Basta usare un po’ di buon senso», assicura”
Insomma, la febbre da Social Network ha colpito davvero tutti e i figli a volte ne fanno le spese. Si legge sul Corriere:
“Barbara Volpi, psicologa e autrice di Adolescenti e la Rete (Carocci), è convinta che la «genitorialità digitale» richieda moltissima prudenza: «È meglio non pubblicare — consiglia —. Uno dei rischi più ovvi è che queste foto possano essere modificate e inserite in siti pedopornografici: purtroppo succede», spiega. Spesso inoltre le immagini che pubblichiamo contengono molte più informazioni di quanto siamo consapevoli. È il caso della geolocalizzazione di Twitter, Facebook e Instagram, la funzione che registra le coordinate geografiche dei contenuti condivisi.
Un professore dell’Università della Florida, Owen Mundy, si è divertito a mostrare come funziona con una provocazione: il sito I Know Where Your Cat Lives , «so dove vive il tuo gatto». Owen ha creato un algoritmo che analizza gli scatti pubblici sui social network categorizzati sotto la parola «gatto» (almeno 15 milioni nelle diverse lingue), legge le loro coordinate geografiche e le segnala su una cartina.
Per l’Italia, sito individua l’indirizzo di circa quattromila gatti solo a Roma, 10.837 in Lombardia, 52.766 in tutta la Penisola. Se andate a vedere forse c’è anche il vostro. Pensare che al posto dei felini si possano localizzare dei bimbi fa venire i brividi. Il problema su Facebook si può evitare selezionando impostazioni di privacy più strette, che per esempio rendano le foto visibili solo agli «amici»”
Infine vi è un altro aspetto da considerare, ovvero la libertà di privacy dei propri figli. La blogger Cecilia Santamaria spiega al Corriere:
“«Non so come saranno le cose sul web tra cinque o dieci anni: vorrei lasciare a mia figlia, quando sarà cresciuta, il privilegio di scegliere cosa fare della sua immagine e della sua privacy online». È una preoccupazione più che giustificata.
«Queste foto rimarranno in Rete e quando i bambini di oggi saranno cresciuti ci saranno software di riconoscimento facciale che le ricollegheranno in automatico ai loro profili social — concorda Giuseppe Riva, professore di Psicologia dei nuovi media alla Cattolica di Milano —. I genitori che postano le foto dei figli su Facebook, o ancora peggio creano dei profili ai bambini pubblicando a loro nome, creano un’identità digitale che li precede. Quando quei bimbi, da adolescenti, arriveranno online si troveranno una storia che non hanno scelto». A quell’età non è poca cosa: «Il tema dell’identità è fondamentale per gli adolescenti, che devono scoprire chi sono. Sappiamo che nelle relazioni a tu per tu hanno bisogno di staccarsi dai genitori — avverte Riva —. Ma cosa può succedere se i rapporti si polarizzano online?». Prepariamoci alle ribellioni adolescenziali digitali”