Errore di inseminazione: no al risarcimento
25 Giugno 2012 - di Claudia Montanari
PADOVA — Oltre il danno anche la beffa? Il caso risale a settembre 2009 quando una donna, sottoposta a un intervento di inseminazione artificiale, dovette assumere una pillola abortiva in quanto i medici di una clinica dell’azienda ospedaliera di Padova scambiarono il seme di suo marito con quello di un altro uomo. Pochi mesi dopo i due coniugi decisero di rivolgersi ad un avvocato e portare la causa in Tribunale.
I due da tempo tentavano inutilmente di avere un figlio e nel mese di Luglio la donna si è sottoposta a un primo tentativo di inseminazione artificiale, non riuscito. «A ottobre abbiamo riprovato una seconda volta – spiega la coppia padovana – e ci hanno consigliato di fare l’inseminazione per due giorni consecutivi, in modo tale da avere maggiori probabilità di riuscita». Il primo giorno tutto sarebbe filato liscio. I problemi sarebbero sorti al secondo tentativo, almeno stando a quanto denunciato dai coniugi, che si sono rivolti all’avvocato Matteo Mion. «Io e mio marito – racconta – ci siamo recati, come al solito, nel centro clinico ambulatoriale per il prelievo dello sperma e lì siamo venuti a conoscenza del fatto che c’era un’altra coppia che quello stesso giorno si sarebbe sottoposta all’inseminazione, Quando è arrivato il nostro turno abbiamo atteso una decina di minuti prima che arrivasse la biologa con la provetta e dopo aver fatto l’inseminazione siamo tornati a casa». È poi accaduto il “peggio”: “Nel pomeriggio una dottoressa ha telefonato chiedendoci di tornare entrambi a Padova con urgenza. Una volta arrivati in clinica ci è stato comunicato che a causa di un errore il donatore dell’inseminazione fatta quel giorno non era mio marito. Mi è stata prescritta una pillola, il Norlevo, per scongiurare un’eventuale gravidanza conclude la relazione firmata dalla donna – che io ho preso in serata».
Oggi, a distanza di tre anni, arriva la “beffa”: secondo “Libero quotidiano” infatti, nonostante il palese errore dell’ospedale e le precarie condizioni della donna che nel frattempo è caduta in depressione, il Tribunale non è ancora riuscito a dare una sentenza: “dopo tre anni siamo ancora qua a mangiare eufemisticamente polvere. Gli avvocati dell’ospedale, forti dell’inefficienza della giustizia, hanno ritirato il braccino: c’è responsabilità ma non c’è danno. La mia perizia sostiene che la danneggiata ha avuto un patimento psicologico pari a quello di uno stupro, ma si dovrebbe accontentare delle scuse perchè i Lloyd’s di Londra non mettono nemmeno una sterlina nel piatto” scrive Matteo Mion, avvocato della coppia. In fondo, spiega l’avvocato, la questione dovrebbe essere molto semplice: “non c’è un giudice in grado di leggersi le carte ed elaborare il concetto più semplice del mondo: se fossi io al posto di quella disgraziata? Non una toga in grado di dire: avete fatto una porcata grande come una casa, siete assicurati, mani al portafoglio”.
E, conclude Mion, “Intanto si tira a campare, l’assicurazione fa i suoi affari coi problemi pagati, l’ospedale non sa né leggere né scrivere e la toga con questi bollori estivi non suda per scrivere sentenze”.