“La notizia è circolata nella Repubblica Islamica, dove arresti come questi sono però frequenti se non quotidiani. Il mondo l’ha invece quasi ignorata, per lo stesso motivo e perché la sua attenzione è rivolta ora al conflitto in Siria e Iraq, in cui Teheran ha per altro un suo ruolo. Fino a ieri: una delle ragazze arrestate, Ghoncheh Ghavami, è anche cittadina britannica e la famiglia, dopo aver mantenuto il silenzio sperando in un suo imminente rilascio, ha deciso di uscire allo scoperto, di far scoppiare il caso.
«Aiutatemi a riportare a casa mia sorella», è l’appello che ha lanciato Amin Ghavami, 28 anni, sui social media e tramite le organizzazioni per i diritti umani, mentre Amnesty International annunciava che Ghoncheh va considerata una prigioniera di coscienza. «Ha 25 anni e studia legge all’Università di Londra, si trovava in Iran da due mesi per insegnare a leggere ai bambini di strada. Pensava che le donne potessero entrare allo stadio per le partite di volley, il Paese aderisce alla Federazione internazionale e sui giornali si diceva per volere del presidente le donne erano ammesse, mia madre e mia padre le avevano dato il permesso. Invece l’hanno arrestata e tenuta in isolamento per 41 giorni durante i quali il suo avvocato non ha potuto incontrarla nè avere accesso al suo dossier. Siamo disperati, e non solo io e i nostri genitori, ma i nonni, gli zii, tutti quanti»”
“Ghoncheh, ha raccontato la famiglia, era stata in un primo tempo rilasciata. Ma il 30 giugno agenti in borghese avevano fatto irruzione nel suo appartamento, sequestrato gli abiti e il computer, trascinandola quindi a Evin, il più tristemente noto carcere della capitale dove tantissimi «dissidenti» sono stati detenuti, e tanti giustiziati. Poi il lungo isolamento, i continui interrogatori. Ora la giovane è in cella con altre carcerate e il suo arresto è stato prolungato di 60 giorni. La madre e la zia hanno potuto incontrarla brevemente una volta, ma nessuno ha capito esattamente il reato che le viene imputato. «Propaganda contro lo Stato» è il vago termine usato per giustificare la detenzione”
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