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Iraq, la disperazione delle donne rapite da jihadisti: “Preferiamo morire”

ARBIL (IRAQ) – Pregano di morire. Ogni giorno. Le donne e le ragazze yazide rapite le scorse settimane dai soldati dello Stato islamico non si danno pace e sperano ogni giorno che il luogo in cui sono rinchiuse venga bombardato. È una storia di orrore e disperazione quella raccontata dalla deputata yazida Vian Dakhil. Una storia reale cui assiste tutti i giorni.

Vian Dakhil è stata intervistata da Pietro del Re per Repubblica. Cerca di richiamare l’attenzione ancora una volta, la Dakhil, perché quelle donne ma non solo, anche tutte le persone dimenticate dal mondo che si trovano sulle montagne del Sinjar vengano aiutate:

“«Sulle montagne di Sinjar ci sono ancora cinquecento persone, per lo più anziani, disabili o donne incinte, e sono tutte troppo stanche per affrontare l’impervio sentiero che li porterebbe a valle e da lì verso i campi profughi nel nord del Kurdistan».

Signora Dakhil, che cosa sa delle donne e delle ragazze yazide rapite le scorse settimane dai soldati dello Stato islamico?
«Siamo in contatto con molte di loro. Ci chiamano appena possono, di nascosto dagli islamisti, e ci raccontano l’orrore di cui sono vittime. Saranno sei o settecento, e ogni volta ci chiedono di far bombardare il luogo dove sono rinchiuse. Preferiscono morire che essere stuprate tutte le sere dalle bande del califfato».

Ha un’idea di quanti yazidi siano stati trucidati finora?
«È difficile stabilirlo, perché di molti yazidi non abbiamo più notizie, ma non sappiamo se sono stati uccisi o solamente fatti prigionieri. Ma dopo l’eccidio di Dokho, i morti ammazzati dovrebbero essere circa duemila».

Come spiega tanto odio da parte degli islamisti nei vostri confronti?
«Fa parte del loro credo odiarci, perché ci vedono come “apostati”. E perché sono i loro imam a incitarli all’odio nei nostri confronti. Lo fanno con le fatwa che diffondono in rete. Sono loro che li autorizzano a ucciderci, a depredarci, a stuprare le nostre donne e a rapire i nostri bambini per farne dei “musulmani”».

Ma vi aspettavate di essere aggrediti con tale violenza, quando le truppe islamiste hanno occupato le vostre terre?
«No, perché pensavamo che il loro solo obiettivo fosse rovesciare il governo di Al Maliki e di conquistare Bagdad. Eravamo certi che avessero solo mire politiche. Non credevamo che se la sarebbero presa anche con noi o con i cristiani nelle regioni che andavano via via conquistando».

Ci sono yadizi che accusano i peshmerga di non averli protetti. Lei è tra questi?
«I peshmerga hanno combattuto a Sinjar contro gli islamisti che ci attaccavano, ma allora non erano ancora stati riforniti di armi statunitensi. E con i loro vecchi kalashnikov poco hanno potuto di fronte alle armi moderne dei jihadisti. Non mi sento di criticare i combattenti curdi, perché per noi hanno fatto molto»”

Claudia Montanari

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