La Palestina diventa “Stato osservatore”. Ma cosa significa?
30 Novembre 2012 - di Claudia Montanari
NEW YORK – Una decisione importante è stata presa ieri al Palazzo di Vetro a New York: con 138 voti per il sì, 9 per il no e 41 astenuti, l’Onu ha ufficialmente accolto la Palestina come “Stato osservatore”.
L’Italia, che ha votato a favore, è stata immediatamente “ammonita” dagli Stati Uniti che hanno bollato il voto come “infelice e controproducente”: “Questo voto crea ulteriori ostacoli sulla via della pace, per questo gli Stati Uniti hanno votato contro” ha dichiarato l’ambasciatore americano all’Onu Susan Rice.
Nonostante questo la posizione “filoisraeliana” degli Usa è rimasta isolata. In quella che appare come una importante sconfitta diplomatica per Israele, solo nove Paesi hanno votato contro la risoluzione: Stati Uniti, Israele, Canada, Repubblica Ceca, Palau, Micronesia, Nauru, Panama e le Isole Marshall. Fra gli astenuti, Germania e Gran Bretagna.
Ma, in sostanza, cosa vuol dire diventare uno “Stato osservatore”? E soprattutto, l’effetto (almeno quello a breve termine) sarà rilevante?
Diventare uno Stato osservatore. Per spiegare cosa significhi in sostanza diventare uno Stato osservatore, bisogna chiarire prima alcuni punti: la Palestina era già “ente osservatrice”, ciò vuol dire che era considerata un’organizzazione che poteva assistere ai lavori dell’Assemblea Generale pur non essendo uno stato e non essendo membro dell’ONU. Ovviamente, non poteva partecipare alle votazioni. Sostanzialmente, ora che è diventata “Stato osservatore” la sua posizione non cambia di molto, in quanto ancora non è considerata ufficialmente membro Onu e ancora non può partecipare alle votazioni.
Le cose fondamentali di questo passaggio sono però due: già il fatto di diventare da “entità” a “Stato” riconosce, seppur implicitamente, la Palestina come Stato, “titolo” che finora non era mai riuscita a conquistare. La seconda è che, in quanto “Stato osservatore”, può chiedere l’incriminazione di militari israeliani accusati potendo accedere alla Corte Penale Internazionale.
Vista la situazione stessa della Palestina, le è impossibile chiedere di diventare uno stato membro a tutti gli effetti, così da poter godere di tutti i diritti di uno Stato facente parte dell’Onu. Questo perché per diventare Stato membro serve il voto di maggioranza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, molto difficile da ottenere, senza cosniderare il Veto già “promesso” dagli Usa che porterebbe al fallimento in partenza della richiesta.
Sta di fatto, però, che ciò che ha appena ottenuto la Palestina ha probabilmente un valore più “simbolico” che concreto. Rimanendo infatti senza diritto di voto, è molto improbabile che la Corte Penale Internazionali porti davvero ad incriminare gli Israeliani che, secondo la Palestina, dovrebbero essere incriminati. Senza contare poi che ai condannati israeliani basterebbe rimanere in terra israeliana per sfuggire alla pena.
Molto probabilmente, poi, anche la situazione concreta della guerra tra i due popoli non cambierà molto. Il fatto che la Palestina sia diventata “Stato osservatore” non risolverà infatti il problema delle colonie o dei negoziati bloccati, tantomeno quello della divisione del territorio palestinese tra Fatah e Hamas.
Non per questo, però, bisogna pensare che allora sia stata inutile questa decisione, anzi. Dal punto di vista simbolico è un grande passo avanti per la Palestina, che ha respirato una vera e propria “boccata di fiducia” e rimane una decisione importante per ottenere maggior peso negoziale nei confronti di Israele. Benché Israele abbia già annunciato un blocco dei finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese, poi, è anche vero che tale gesto servirebbe solo a favorire i gruppi più estremisti, dunque non è detto che tale gesto venga effettivamente compiuto.
Per Abbas, sostanzialmente, era importante almeno dal punto di vista morale presentare al popolo palestinese qualche forma di speranza e di “vittoria”, anche per contrastare l’aumento della popolarità di Hamas in seguito al conflitto a Gaza.
Ecco perché, seppur di valore simbolico, la decisione rimane molto importante.