La scienza approva la carne coltivata, tanti i vantaggi
4 Aprile 2023 - di Claudia Montanari
Sostenibilità ambientale, sicurezza alimentare, benessere animale e disponibilità di cibo a prezzi accessibili: per il mondo scientifico sono tanti i vantaggi della carne coltivata in laboratorio, che per il momento è però solo una possibilità per il futuro e che viene erroneamente chiamata “cibo sintetico”. Così i ricercatori rispondono al disegno di legge sui “cibi sintetici” approvato il 28 marzo dal Consiglio dei ministri.
Il nome corretto è ‘carne coltivata’
E’ tecnicamente un errore chiamare ‘cibo sintetico’ la carne coltivata in laboratorio: il nome corretto è, appunto, ‘carne coltivata’, oppure ‘agricoltura cellulare’, rileva Roberto Defez, dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli e e membro del comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi, che già nel 2019 aveva pubblicato un documento a favore di queste tecniche, intitolato “Dagli allevamenti intensivi all’agricoltura cellulare”.
“Si definisce ‘sintetico’ ciò che è il risultato di processi in cui si utilizzano composti e reazioni chimiche”, ma nel caso della carne coltivata si utilizzano “cellule staminali che in laboratorio vengono fatte differenziare per produrre muscolo.
“Sono cellule che hanno a disposizione un infinito numero di replicazioni” e che, quando è necessario, possono essere fatte differenziare in un terreno di coltura, che attualmente è siero prelevato da feti bovini
Da poche cellule tonnellate di carne
Bastano poche cellule per produrre tonnellate di carne; “non è necessario prelevare cellule e tessuti da tanti animali – osserva Defez – ma è sufficiente utilizzarne un numero limitato”. La carne coltivata in laboratorio, ha aggiunto, “non ha alcuna ragione di derivare dall’uccisione di animali”.
Per quanto riguarda i costi, Defez ha osservato che “sebbene siano ancora poco competitivi, si sono ridotti notevolmente. Basti pensare che negli ultimi 4-5 anni il prezzo al chilo è sceso da 300.000 dollari a 20-30 dollari”.
Secondo l’esperto “non si può non vedere che cosa significhi non dover uccidere animali: vuol dire ridurre il consumo di acqua, terreno e gas serra, considerando che una mucca emette metano da viva, che il degrado del letame genera un altro gas serra come l’ossido di azoto e che la produzione di ogni chilogrammo di carne richiede 15.000 litri di acqua”. Alla luce di queste considerazioni, per Defez è chiaro come “sia necessario esaminare tutti i dati tutti i dati prima di fare qualsiasi valutazione”.
Regole premature e non basate su dati
Premature e non basate su fatti, sicuramente non scientifiche: per il cosiddetto ‘cibo sintetico’ “ci si sta preoccupando troppo presto” e “si è arrivati a definire delle regole quando mancano ancora elementi per decidere“, rileva il genetista Michele Morgante, dell’Università di Udine e membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Regole, inoltre, che non considerano il fatto che alcuni cibi coltivati sono già in vendita, dai batteri dello yogurt all’alga spirulina.
“L’agricoltura cellulare nasce per rispondere al problema della sostenibilità della produzione animale, molto impattante su ambiente”, ha osservato l’esperto, citando il termine corretto del cibo coltivato in laboratorio.
“La prima conduzione perché l’agricoltura cellulare si diffonda è che riesca a garantire una produzione sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico: entrambe – ha rilevato – dipenderanno dalla disponibilità di fonti energetiche a basso impatto ambientale. Solo in quel caso diventerà più sostenibile rispetto all’allevamento animale tradizionale, ma ancora è tutto da verificare”.
In questi giorni sono stati citati anche i problemi per la salute dei consumatori, ma per Morgante “non ci sono, a priori, motivi per cui prodotti da colture cellulari potrebbero presentare rischi diversi rispetto a quelli da allevamento tradizionale. Al contrario, ci sono molte ragioni per dire che le carni coltivate sono più sicure in quanto non contengono ormoni né antibiotici, non c’è il rischio di contaminazione da parte di organismi patogeni. La coltivazione avviene infatti in un ambiente sterile e controllato”.
Regole dettate da ragioni economiche
Le regole italiane sul cibo coltivato in laboratorio sono state dettate da ragioni economiche e, se è comprensibile voler tutelare un settore produttivo, l’importante è non attribuire queste considerazioni alla tutela di salute e ambiente, osserva ancora Morgante.
“Chiamiamo le cose con il loro nome: si può proteggere l’attività degli allevatori italiani senza allarmare l’opinione pubblica. Si ha l’impressione – ha aggiunto – che la decisione non sia stata presa sulla base di elementi scientifici, ma sulla base di una valutazione di interesse economici e sotto pressione di gruppi interessi economico”.
Nella normativa, inoltre, si cita solo la produzione di carni di vertebrati, cosa che lascerebbe via libera alla produzione polpa di granchio, aragosta e gamberi.