Lady Matacena: quando Claudio Scajola mandò la scorta a comprarle le calze
11 Maggio 2015 - di Claudia Montanari
IMPERIA – “Un papà adottivo e protettore”: così viene definito Claudio Scajola da u stando a quello che ha detto la segretaria Roberta Sacco. Un uomo così premuroso nei confronti di Chiara Rizzo, moglie dell’ex parlamentare latitante per mafia Amedeto Matacena, che Lady Matacena è arrivata a chiedergli, il 27 febbraio 2014, di comprarle delle calze. Una vera e propria “prova d’amore” visto che, ogni donna lo sa, farsi comprare delle calze da qualcun’altro è un vero atto di “fiducia”. Una richiesta, quella della Rizzo, che per i magistrati faceva «emergere ancora una volta la grande confidenza tra i due» e di fronte alla quale Scajola non si scompone, girandola immediatamente alla sua segretaria tuttofare Sacco, inviata insieme ad un agente della scorta di Scajola alla ricerca dei collant desiderati dalla Rizzo. I due, spazientiti non poco dagli inconsueti ordini di Scajola, dovranno spingersi fino ad Alassio per trovare il modello di calze desiderato da Lady Matacena, perché impossibile da reperire ad Imperia.
Si legge su “Il Secolo XIX”:
“…Da una serie di telefonate intercettate dagli investigatori della Dia è emerso che la scorta di Claudio Scajola, il 27 febbraio 2014, si spostò da Imperia ad Alassio per comprare calze per la Rizzo: «Scajola – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Speziali – forniva la sua disponibilità che girava alla solita Sacco la quale, una volta individuato il prodotto richiesto in un altro Comune, Alassio, procedeva a inviare la scorta di Scajola a ritirare le calze che servivano alla compagna del Matacena latitante». Il 27 febbraio 2014, dopo avere fissato un appuntamento per il giorno successivo, la Rizzo chiama Scajola e gli chiede se può comprare calze della Calzedonia spiegandogli che tipo di calze le deve comprare. Poco dopo è Roberta Sacco, la segretaria dell’ex ministro, a chiamare la Rizzo per farsi spiegare il modello e quindi chiama il negozio. Poi telefona a Stefano, uno degli uomini della scorta e, è scritto nella sintesi della telefonata riportata in atti, «gli dice testualmente, “benzina e autostrada a parte”. Stefano dice che sta tornando indietro ed entrambi dicono che non ce la fanno più con il comportamento che sta avendo Scajola nei loro confronti». Nel tardo pomeriggio della stessa giornata, è Chiara Rizzo a chiamare Roberta Sacco e quest’ultima le dice che «le calze le hanno comprate, ma sono dovuti andare ad Alassio in quanto a Imperia il tipo e il modello che voleva non lo hanno trovato»; poi, prima di chiudere, «Roberta dice a Chiara che comunque per domani è confermato l’appuntamento con Claudio»”
In questi giorni, si legge ancora sul Secolo XIX:
“È stata dedicata alla deposizione del vicequestore della polizia di Stato, Leonardo Papaleo, già in servizio alla Dia di Reggio Calabria, l’udienza di ieri del processo che vede imputata proprio la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, e il collaboratore dell’ex deputato di Forza Italia, Martino Politi. Papaleo, in particolare, ha parlato di alcuni contatti intercorsi tra Matacena e Bruno Mafrici, consulente calabrese con studio in via Durini a Milano e già indagato in un altrotroncone dell’inchiesta Breakfast, quello che nel 2012 coinvolse anche l’ex tesoriere della Lega nord Francesco Belsito, entrambi ritenuti responsabili dalla Dda reggina di riciclaggio aggravato dall’avere agevolato la cosca di ‘ndrangheta dei De Stefano.
Nei colloqui intercettati, risalenti al periodo tra aprile e giugno 2011, ha detto il funzionario di polizia, «emerge la richiesta di denaro di Matacena a Mafrici che si impegnò nella vendita della casa reggina del politico». La difesa di Chiara Rizzo, in una nota, «manifesta soddisfazione per quanto emerso ieri dall’esame del vice questore Papaleo». Ancora: «Con onestà intellettuale – prosegue la nota – lo stesso ha dato atto che i colloqui e i contatti telefonici tra la nostra assistita ed alcuni funzionari di banca, ma in parte anche con l’onorevole Scajola e la di lui segretaria, avevano ad oggetto la richiesta di aiuto per trasferire fondi di sua proprietà da un conto corrente proprio ad altro conto corrente dalla stessa intrattenuto a Montecarlo. Questa è la versione fornita dalla Rizzo agli inquirenti sin dal suo primo interrogatorio in carcere e ora si è avuta la prova che diceva il vero. Nessun illecito maneggio di denaro ma semplicemente le conseguenze delle difficoltà tecniche incontrate nel voler accreditare su un proprio conto somme di sua esclusiva pertinenza»”