Mamme contro Nutella in Usa: Ferrero condannata
30 Aprile 2012 - di Claudia Montanari
NEW YORK – Che mondo sarebbe senza Nutella? Indubbiamente migliore negli Usa, dove un gruppo di mamme americane ha vinto la sua battaglia contro la Nutella. Che sì “fa più buona la vita” (come recita lo slogan), ma – secondo i consumatori statunitensi che hanno promosso due class action – non è così salutare come viene pubblicizzato. La Ferrero è stata quindi accusata di “pubblicità ingannevole”.
E per questo davanti a un tribunale americano è stato deciso che la filiale Usa del gruppo piemontese dovrà risarcire 4 dollari a barattolo a tutti coloro che dimostreranno di aver acquistato tra il 2009 e il 2012 la crema nocciole e cacao più famosa al mondo. Non si potranno “denunciare” più di cinque confezioni, e dai primi calcoli la cifra da sborsare potrebbe ammontare a oltre 3 milioni di dollari. Il gruppo di Alba (Cuneo) non parla di multa, ma di un accordo raggiunto per ridurre le ingenti spese legali legate a un prolungamento del contenzioso. “L’accordo transattivo raggiunto da Ferrero negli Stati Uniti – assicura l’azienda piemontese – è relativo al solo contenzioso nato dalla pubblicità trasmessa negli Stati Uniti e alla conformità di quest’ultima alle esigenze della legislazione americana”, spiega il gruppo di Alba, sottolineando come “non vi è nessun tipo di necessità di correggere da parte dell’azienda i suoi comportamenti commerciali e pubblicitari negli altri Paesi, né intervenendo sulla confezione del prodotto, né sul posizionamento di marketing”. Insomma, la vicenda riguarda solo gli Usa.
La Ferrero, facendo riferimento all’accordo raggiunto dalla filiale Usa del gruppo per un risarcimento di oltre tre milioni di dollari per la pubblicità della Nutella, fa sapere che “l’accordo transattivo raggiunto da Ferrero negli Stati Uniti è relativo al solo contenzioso nato dalla pubblicità trasmessa negli Stati Uniti e alla conformità di quest’ultima alle esigenze della legislazione americana”.
Il gruppo di Alba ha aggiunto che “non vi è nessun tipo di necessità di correggere da parte dell’azienda i suoi comportamenti commerciali e pubblicitari negli altri paesi, né intervenendo sulla confezione del prodotto, né sul posizionamento di marketing”. “Le spese legali di un prolungamento di un contenzioso di questo genere negli Stati Uniti – spiega la Ferrero – a prescindere dal merito e dall’esito del giudizio, sono generalmente molto più elevate dell’impatto economico di un accordo tra le parti”.