Raimonda Lanza di Trabia rievoca la Sicilia in pieno Nord Italia
22 Giugno 2015 - di Claudia Montanari
ROMA – Elegante, sobria, di quella bellezza chic che non sazia mai. Raimonda Lanza di Trabia, figlia di quel Raimondo di Trabia a cui Modugno di ispirò per la canzone “Vecchio frac”, esprime al meglio la vividezza siciliana in pieno nord Italia. Di questa donna forte e al tempo stesso eclettica e sofisticata, ne dipinge un ritratto ben riuscito Melisa Garzonio che nel Corriere della Sera scrive:
“Un mese fa batteva il crawl in Nuova Zelanda (è nuotatrice da medaglia), e adesso sta progettando un tour selvaggio sulle tracce degli Indiani, nel Canada dei grandi laghi. Nel frattempo se ne sta nella residenza château di Moncalieri, magione neoclassica dei marchesi di Barolo che ospitò Silvio Pellico, a godersi il consorte e il fresco del suo giardino alla Russell Page. Ozi piemontesi che Raimonda Lanza di Trabia interrompe con frequenti blitz a Milano, nella casa che forse le sta più a cuore, perché lì il genius loci s’identifica con l’anima barocca della sua Sicilia”.
Raimonda ha molto del padre, Raimondo Lanza di Trabia, figlio di Giuseppe Lanza principe di Scordia e dell’aristocratica veneziana Madda Papadopoli:
“Uomo bellissimo e scapestrato, a cui si ispirò Domenico Modugno nella sua canzone «Vecchio frac», morto il 30 novembre 1954, a Roma, precipitando dalla finestra di una stanza dell’Hotel Eden. «Ma diciamolo piano, che adoro quella casa. Perché lassù in Piemonte, qualcuno (il marito, l’avvocato Emanuele Gamma? ndr ) forse ne avrebbe a male», ride divertita la signora”
Una casa a Moncalieri, in pieno nord Italia, che rispecchia il gusto tipicamente siciliano:
“Si apre un cancello e siamo in una corte che costeggia un giardino fiorito, fino all’ingresso di un palazzo giallo e rosa. Colori caldi, molto siculi, che sbocciano a sorpresa nella Milano delle Cinque Vie, tra il Cordusio e la Darsena, un quartiere rinomato per l’eleganza esclusiva, dove il lusso ha forme discrete e anche il cemento sembra gentile. Tinte che ritroviamo, ancora più accese e spavalde, nella gamma dei rossi e dei rosa, dei verdi e dei blu pennellati su uno sfondo color giallo intenso, degli arredi e delle tappezzerie dell’appartamento. Che è fatto di due anime, una chiara e razionale, con piccoli ariosi locali di servizio, dove Raimonda cucina, lavora e fa la nonna, e una fascinosa e insondabile, costruita con calcolatissima confusione, a dare il senso, pur se in uno spazio limitato, di un’opulenza gattopardesca, di cui non si vuol perdere la memoria.A creare l’artificio, servono scorci moreschi, neogotici, barocchi e di pura invenzione, più una luce particolare, calda e soffusa. Raimonda e il marito Emanuele, uomo di toga col gusto dell’antiquariato, hanno fatto un buon lavoro. Spento il sole con tendaggi in seta e velluto, autentici pezzi d’epoca, hanno acceso lampadari in cristallo e lampade schermate con grandi cappelli in seta colorata. Il cuore della casa è chiuso in un labirinto di salotti e salottini, protetto da alti soffitti a cassettoni, adagiato su mattonelle di cotto antico. Passiamo il dito su guéridon e cineserie, vetrinette ricolme di argenti viennesi e rarissimi Richard-Ginori. Doveva essere un appartamento di rigore settecentesco in un elegante palazzotto neoclassico nella Milano del Parini. Ma Raimonda sognava la Sicilia. E ha creato un autentico capolavoro di contaminazioni, inventando apparati moreschi, neogotici e barocchi con pezzi fatti venire direttamente dal palazzo sul mare dei suoi avi siciliani, il nonno Pietro Lanza e la nonna Giulia Florio, i cui ritratti spiccano, severi ma amorosi, nel salotto-biblioteca, tra quelli degli antenati Branciforti”
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