Reyhaneh Jabbari giustiziata: uccise uomo che la stava stuprando
25 Ottobre 2014 - di Claudia Montanari
IRAN – La giovane Reyhaneh Jabbari è stata giustiziata, impiccata a mezzanotte in un carcere di Teheran.
È difficile dimenticare quel volto: le foto di Reyhaneh rimbalzano sui siti mondiali da ormai molti mesi. La donna, 26 anni, è stata condannata a morte nel 2009 per aver ucciso 7 anni fa -nel tentativo di difendersi- l’uomo che la stava stuprando.
A riportare la notizia dell’esecuzione è la Stampa, che scrive:
“Reyhaneh Jabbari, la giovane iraniana condannata a morte per l’uccisione dell’uomo che voleva stuprarla, è stata impiccata a mezzanotte. All’esecuzione erano presenti i genitori di Reyhaneh e il figlio della vittima, che secondo le fonti ha tolto lo sgabello da sotto i piedi della ragazza. La notizia dell’imminente esecuzione era arrivata ieri sera, quando i genitori della ragazza erano stati convocati in carcere per vederla per l’ultima volta”
Eccola lì la pena di morte iraniana. (In)giustizia è stata fatta, di nuovo. A nulla purtroppo è valsa la campagna mediatica internazionale lanciata per cercare di salvare la giovane Reyhaneh. A nulla sono serviti gli appelli che la madre, Sholeh Pakravan, ha affidato ad Aki-Adnkrons International.
LA VICENDA:
La giovane donna è stata arresta 7 anni fa, quando aveva 19 anni, per aver ucciso a coltellate un dipendente del Ministero dei servizi segreti iraniano, Marteza Abdolali Sarbandi, che secondo la più ricorrente sintesi delle argomentazioni della difesa stava tentando di stuprarla.
Reyhaneh confessò l’omicidio subito dopo l’arresto e dichiarò di aver agito per autodifesa, ma non le fu consentito di avvalersi di un avvocato durante la deposizione, e nel 2009 venne condannata a morte da una corte penale della capitale iraniana applicando il ”qesas”, la legge del taglione, con sentenza confermata dalla Corte suprema quello stesso anno, ricorda il sito di Ihr (Iran Human Rights), che ha sede ad Oslo.
L’esecuzione era stata fissata per il 30 settembre scorso ma era stata poi rinviata facendo sperare in un atto di clemenza. Venerdì alla madre era stato permesso di visitare Reyhaneh per un’ora, un segnale che l’impiccagione era imminente.
Il relatore dell’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu aveva denunciato che il processo del 2009 era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro.
Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dall’impiccagione, ma il figlio dell’uomo ha chiesto che la ragazza negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo.
È questa la giustizia, in Iran. Una donna impiccata per aver cercato di difendersi da una stupro. Che la morte di Reyhaneh, almeno, non sia avvenuta invano: indigniamoci, alziamo la voce, facciamoci sentire. Perché, ricordiamoci, siamo tutte Reyhaneh.