Scambio di cognomi ed embrioni. A chi i gemelli? Due mamme davanti a Salomone
17 Aprile 2014 - di Claudia Montanari
ROMA – Un errore dovuto a cognomi molto simili, e una donna che ora teme che gli embrioni impiantati all’altra coppia siano i propri, e li reclama. Un’alternativa drammatica per cui servirebbe il giudizio del biblico Salomone che, per risolvere una contesa equiparabile, minacciò di dividere in due un neonato: la prima che pianse e rinunciò era la vera madre.
Più prosaicamente. Quello che fino a ieri era solo un lieve presentimento oggi diventa un tormento. In ballo, la vita di due coppie che molto probabilmente cambierà per sempre. Da un lato la coppia a cui è stato impiantato un embrione sbagliato, per errore. Dall’altro, la coppia a cui quel giorno non è riuscita la fecondazione assistita e che ora teme che gli embrioni impiantati all’altra coppia siano i propri.
I fatti sono ormai noti: all’ospedale Sandro Pertini di Roma una donna sottoposta ad un trattamento di fecondazione assistita ha scoperto di aspettare due gemelli dotati di un patrimonio genetico totalmente estraneo al suo e a quello di suo marito. Dall’altra parte un’altra coppia, l’unica tra le 4 che quello stesso giorno erano all’ospedale per sottoporsi all’impianto dell’embrione a cui l’impianto non è riuscito, rivendica i “propri embrioni”.
E le scoperte di oggi rendono sempre più plausibile quel terribile presentimento. Come si legge infatti sul Corriere della Sera, ora è ufficiale:
“L’errore è stato provocato da due cognomi simili. Dal più stretto riserbo trapelano in tarda serata i risultati dei test genetici sul Dna delle coppie coinvolte nei trattamenti di procreazione medicalmente assistita effettuati il 4 e il 6 dicembre nell’ospedale Pertini. Oggi si saprà anche a quale coppia appartiene l’embrione che per errore è stato impiantato sulla donna dalla quale ha avuto origine il caso e che ha un patrimonio genetico diverso da quello dei gemellini che porta in grembo”
L‘errore, dunque, è stato provocato da due cognomi simili, e il nome della coppia a cui appartiene l’embrione impiantato per errore nell’utero “sbagliato” ancora non si conosce. Ma queste dichiarazioni oggi assumono una valenza particolare se si prendono in considerazione le dichiarazioni della coppia a cui la fecondazione assistita quel giorno all’ospedale non riuscì. Solo ieri infatti la donna ha parlato al quotidiano Lo Stampa ed ha dichiarato a gran voce che, se quegli embrioni risultano essere i suoi, lei li rivuole.
E ciò che ha raccontato la donna ieri a La Stampa assume oggi un valore tutto nuovo. La donna ha infatti ammesso che quel giorno, all’ospedale Pertini, accadde qualcosa che lì per lì la colpì ma che ora la tormenta: la chiamarono per l’operazione, poi la fecero uscire repentinamente e chiamarono un’altra donna con il suo stesso anno di nascita ed un cognome molto simile. Si legge su La Stampa:
“«Eravamo 4 coppie» racconta Laura (nome di fantasia -ndr) in attesa. «Me li ricordo tutti ma non so i nomi. A un certo punto mi chiamano per il trasferimento, ma poi dopo qualche minuto mi fanno uscire. Di nuovo. Mi è sembrato strano ma non ci ho fatto tanto caso. Chiamano un’altra donna e ricordo che l’anno di nascita era lo stesso e il cognome molto simile al mio». Potrebbe essere questa l’origine della confusione, la matrice dell’errore. «Mi confidò che anche lei aveva avuto l’impianto di tre embrioni di classe A». «Così aspetto e quando chiedo a un’infermiera spiegazioni di questa attesa lei mi dice una frase con leggerezza, che allora mi colpì e oggi mi tormenta: cosa volevi che ti mettessero gli embrioni di un’altra?». «E se fosse successo proprio questo?». Una domanda che affolla la mente, cancella ogni altra preoccupazione, annienta la quotidianità. Laura è l’unica delle quattro donne che quel 4 dicembre ha fallito: non è riuscito l’impianto degli embrioni. E fa un ragionamento: «Eravamo in 4 coppie, due di queste non hanno avuto niente da dire per cui evidentemente sono certe che i feti hanno il loro patrimonio genetico. Una ha denunciato l’errore dopo le analisi prenatali.”
Insomma, il nome della coppia a cui hanno preso gli embrioni impiantati nell’utero sbagliato non si conosce, ma la donna stessa ricorda che quel giorno vi era un’altra donna con un cognome molto simile al suo. Oggi, il verdetto: il terribile errore è dovuto ad un errore di cognomi simili.
E quella donna, la donna a cui la fecondazione assistita non è riuscita, quegli embrioni li reclama. Si legge su La Stampa:
“Laura non vuole aspettare, chiama un avvocato e gli dice perentoria: «Se sono miei li voglio. Perché sia chiaro che vogliamo chiarezza. Non voglio i figli degli altri, ma se quegli embrioni sono miei niente e nessuno mi separerà da loro». E l’altra donna, quella che porta in grembo questi due piccoletti da ormai 4 mesi? Cosa dovrebbe fare? Partorire e consegnarle i piccoli? «La capisco, non ce l’ho con lei, mi dispiace che stia male, stiamo vivendo lo stesso dramma anche se al contrario, ma non rinuncerei mai ai miei figli»”
La donna è già pronta ad una dura battaglia:
“«La mia cliente è sotto uno stress e un ansia tremende», spiega il suo avvocato, Pietro Nicotera. «Appena nasceranno se sono della mia cliente procederemo immediatamente con la richiesta di riconoscimento e affido»”
A nulla valgono i consigli degli esperti, che le urlano a gran voce che in Italia, per legge, il figlio è sempre della donna che lo partorisce in virtù del cordone ombelicale riconosciuto come legame biologico:
“«Non c’è legge che possa tenere lontana una madre dai suoi figli. Cosa dovrei fare? Sapere che ci sono due creature mie in giro per l’Italia e ignorarle? Non vi sembra disumano e ingiusto?». La donna insiste: «La legge tutela il benessere dei bambini prima di tutto e questo passa per la loro vera famiglia. Se fossimo noi non ci potrebbe essere alternativa»”
Insomma, la questione è veramente delicata. E apre di nuovo una annosa questione. Riapre domande, nuovi pensieri su chi si sofferma ad interrogarsi sul tema al centro di questa vicenda: i bambini sono di chi li cresce, o dei genitori biologici? E nello specifico di questi bambini, la donna sceglierà di portare a termine la gravidanza? E se verrà fuori che quegli embrioni appartengono proprio a quella donna che ora li rivendica, cosa accadrà?
Le risposte a questa domanda sono tutte impigliate a quella legge, datata 1939, che ribadisce quello che forse fino a poco tempo fa era ovvio: un bambino è figlio della donna che lo ha partorito. Ma nell’era in cui la fecondazione avviene anche attraverso l’impianto di embrioni estranei alla coppia, questa legge rischia ormai di diventare anacronistica.
La donna a cui sono stati impiantati gli embrioni di un’altra coppia dovrebbe abortire? Anche se volesse, non può. Non può perché l’impianto è avvenuto presumibilmente tra il 4 e il 6 di dicembre, quindi ora sarebbero oltre quattro mesi. E non può perché per ricorrere alla PMA era probabilmente più di un anno che la coppia provava. E nessuno, nessuno può immaginare cosa si prova ad avere un figlio ed ogni mese ritrovarsi di fronte al fallimento. Ma come non mettersi nei panni dell’altra donna? Se i figli sono i suoi, lei li rivuole. Se genticamente parlando sono i suoi, la donna li rivuole. Ma cosa fa? Se li riprende? Non può.
Per ora però questa vicenda è figlia solo di un terribile errore, quello dello scambio di embrioni, a cui la legge non può e non riesce a dare risposte. E Laura, che se gli embrioni sono i suoi lei li rivuole, e quei due bambini, destinati fin dal grembo di una madre che non è quella biologica, ad una efferata battaglia legale.