Scienza o natura, vita o non vita: quanto è sottile il confine?
30 Ottobre 2014 - di Claudia Montanari
MILANO – La mamma risulta clinicamente morta. Nel grembo, però, sta crescendo una nuova vita, un bambino di 23 settimane che un’équipe dell’Ospedale San Raffaele di Milano sta tentando di tenere in vita e farlo nascere.
Una vita si spegne ed una nuova si accende: quanto è flebile il confine tra la vita e la non vita? Una domanda scomoda, spesso scontrosa e quasi ancora un tabù per la società. Una domanda che si infrange prepotente contro le nostre coscienze quando accadono casi come quello di Milano, raccontato dal Corriere della Sera e ripreso da numerosi quotidiani nazionali.
La vicenda è commovente. Drammatica nella sua bellezza: la vita di una mamma spenta tragicamente dopo una fulminante emorragia cerebrale, quella di un bimbo che con tutte le sue forze sta cercando di venire al mondo. E poi la scienza, che si scontra con la coscienza. Un’équipe di medici del cattolico Ospedale San Raffaele di Milano non ci ha pensato un attimo: un’estenuante lotta per la sopravvivenza del feto.
Al di là della storia in sé raccontata sapientemente dal Corriere della Sera, è il carattere umano di tutta la faccenda ad emergere con autorevolezza. Quanto è sottile il confine tra la vita e la non vita? Fino a quanto la “scienza” si scontra, e poi incontra, la “natura”?
Il dibattito è interessante perché apre confini molto più ampi, per esempio quello molto discusso sui matrimoni e le adozioni gay.
“Le coppie gay non possono avere figli perché è contro natura” è la tesi di molti detrattori in merito alla questione. Ma in molti casi la natura non è imprescindibile e l’esempio di queste ore al San Raffaele di Milano ne è l’ennesima conferma.
La mamma è clinicamente morta ed è facile dedurre che, dunque, secondo “la natura” il feto dovrebbe morire al seguito della mamma. La scienza in questo caso sta permettendo al feto di crescere nel grembo della mamma morta. Come si legge sul Corriere della Sera,
“una sonda nell’intestino materno permette al feto di essere alimentato, la ventilazione artificiale fa arrivare l’ossigeno nel sangue della donna e quindi al feto. Il cuore continua a battere e finchè c’è quel battito il bambino viene tenuto in vita. In un certo senso, il corpo della mamma si è trasformato in un’incubatrice per proteggere il figlio”.
Si è trasformato, ma sarebbe più corretto dire “i medici hanno trasformato”. E grazie a questo delicato procedimento “scientifico”, la vita che si è accesa con il concepimento, potrà continuare a crescere nel grembo materno e, se tutto andrà bene, nascere per mezzo di un parto cesareo.
È un caso quasi unico quello del San Raffaele di Milano, un emozionante incontro tra la vita e la non vita e l’ennesima riprova di come queste due siano sempre più adiacenti.