“Laureata? Devi emigrare”: lo sfogo di una trentenne
4 Luglio 2012 - di marina_cavallo
ROMA – Mio padre dice che dovrei emigrare. E’ il segno che non ci sono più alternative? Con questo titolo Margherita Cardelli ha postato su La 27esima Ora, il blog del Corriere della Sera, un articolo/sfogo che ha suscitato molto rumor sul web, con centinaia di commenti quasi tutti solidali.
Il 10 aprile 2012 ho compiuto 30 anni. Tutti mi dicevano che sarebbe cambiato poco, invece per me è cambiato tanto. È come se mi si fosse riversato addosso un secchio di responsabilità che si chiama “consapevolezza”. Sono sempre stata una persona abbastanza consapevole, ma da due mesi a questa parte sono diventata “consapevolmente consapevole”.
Sono abbastanza sicura di poter affermare che compiere 30 anni a metà degli anni ’70 sarebbe stato diverso. Ascoltare i miei genitori parlare di quante prospettive e fiducia rimettevano nel loro futuro, mi riempie di invidia. Era facile trovare un posto di lavoro, comprare una casa, costruire una famiglia e quindi lavorare e riuscire a vivere le relazioni. C’era posto per tutti e questo vuol dire entusiasmo, fiducia e progettualità. Una vita bella.
Oggi tutto questo non c’è più. Infatti, questi sentimenti si sono dissolti in anni di gravissima inconsapevolezza, marchiata da truffe, raccomandazioni, ignoranze, burocrazie ed enormi bugie. Anni di lavaggio del cervello e distruzione della cultura ormai ridotta a brandelli perché non più usufruibile dalle masse, hanno reso la situazione irrisolvibile. Come si fa a vivere senza cultura? La cultura regala la fantasia, rende le persone educate, speranzose, interessate. Dovrebbe essere la prima cosa da sostenere e proteggere per far si che le nuove generazioni si nutrano di cultura per costruire qualsiasi cosa con garbo, intelligenza ed entusiasmo. Dovrebbe essere consegnata la mattina davanti alla porta di casa insieme al giornale.
Ma mi sono resa conto che in Italia manca la cosa più importante: il rispetto civile. Il danno più grave. La corruzione e la mafia dei privati e della classe politica ne sono l’esempio più evidente, ma altrettanto palese è la difficoltà reale di gestire qualsiasi tipo di contatto in maniera gentile ed educata cioè civilmente rispettosa. Non siamo cattivi, ma penso che anni e anni di grandi sacrifici e attesa nella speranza che le cose cambino, abbiano svuotato il popolo di un ingrediente fondamentale per vivere bene, la fiducia. La mancanza di fiducia nel nostro caso ha portato alla disgregazione degli obiettivi comuni lasciando le persone sole e costrette a curare il proprio orticello, abbandonando ideali di comunità e socialità che tengono un popolo unito ed educato nei confronti delle istituzioni e della giustizia.
Avere 30 anni oggi è difficile. Alzarsi la mattina sapendo che non ci sono certezze è difficile. Avere paura di non sapere dove si potrebbe andare a sbattere la testa perché potrebbe accadere di tutto è difficile. È difficile perché le conseguenze di queste sensazioni distruggono le piccole cose. E le piccole cose sono la vita vera. Le relazioni si distruggono. Le amicizie si allontanano. Il sostrato sociale diventa cinico. Sono ben certa di non poter avere la possibilità di comprare una casa, a meno che non accetti l’aiuto della mia famiglia, e questo non è poi così grave, ma grave è la sensazione di non riuscire a tenere insieme gli affetti perché ognuno è costretto a decidere in base alle PROPRIE esigenze. Non ci si può più permettere di tenere conto delle esigenze degli altri. La difficoltà che può nascere nel gestire una relazione a distanza per motivi di lavoro può distruggere un amore o svilire le amicizie e porta ad una sorta di solitudine che allontana e separa le persone. E quando l’amore e l’affetto cominciano a soffrire di situazioni contingenti enormi e assolutamente ingestibili vuol dire che siamo arrivati alla fine. La nostra generazione è maledetta. Segnata fino alla fine.
Siamo nati nel boom economico, siamo cresciuti viziati e non abituati a lottare, ci ritroviamo adulti senza sapere come affrontare questa situazione svilente e preoccupata di cui non si conosce la fine. Stiamo pagando e pagheremo per molto altro tempo ancora i danni generati da tante generazioni prima di noi e stiamo cominciando a capire che cosa vuol dire veramente essere italiani.
Come dice mio papà, una soluzione è emigrare. Non pensavo di poter sentire una cosa del genere uscire dalla sua bocca. E lì forse ho realizzato quanto può essere e diventare grave il momento. Ora capisco perché il mio bisnonno ha lavorato per tanti anni in Canada. Non c’erano alternative. Oggi, come ieri non ce ne sono quasi più.
Non c’è una soluzione a tutto questo, ma forse cercare di vivere ogni giornata della propria vita in modo onesto, consapevole e civilmente rispettoso nei confronti di tutti potrebbe essere un piccolo passo per iniziare a cancellare definitivamente atteggiamenti di insensibilità e faciloneria italiana che hanno distrutto questo popolo che sono sicura ha ancora voglia di continuare a fidarsi per dare un’opportunità ai nostri figli di vivere un’Italia che sia quello che si merita di essere: onesta, cortese, leale, goduriosa, divertente e civilmente rispettosa.
Sarà il clima disastroso che si respira nel nostro paese o una piccola ruga che non avevo mai notato vicino agli occhi, ma a me questi 30 italiani, per ora non sono sicura che mi piacciano poi così tanto.
Che dire? Come commentare questo sfogo? Chi non ha un figlio, una sorella, un amico che si trova nella stessa situazione di Margherita?
Il fenomeno della fuga dei cervelli italiani è noto. Nel giugno dello scorso anno l’Economist ha pubblicato un’analisi dal titolo eloquente, “No italian jobs”, e dal sottotitolo ancora più eloquente: “perché gli italiani sono impazienti di emigrare”. Non è il numero assoluto di emigranti a caratterizzare la situazione del nostro paese, ma quello che in inglese viene definito “brain drain” e che colpisce solitamente i paesi in via di sviluppo. Di fronte alla fuga dei nostri laureati, pochissimi sono i laureati stranieri che scelgono l’Italia per lavorare.
In ogni caso, non di soli aspiranti scienziati è fatta la fuga dei cervelli. Secondo uno studio del 2004 citato dal settimanale britannico, tra 1990 e 1998 la quota dei laureati all’interno del totale degli emigranti italiani è quadruplicata. Riportando i dati dell’American National Science Foundation, l’Economist sostiene però che solo il 17% dei laureati italiani residenti negli Usa (la destinazione più popolare) lavora nell’ambito della ricerca, mentre nella maggior parte dei casi si tratta di manager.
Le destinazioni più ambite dai novelli emigranti italiani arriva dall’analisi dell’Anagrafe Italiana Residenti all’Estero. Nel 2011 27.616 italiani tra i 20 ed i 40 anni sono espatriati su un totale di poco più di 60mila unità (il 45,5%), anche se i dati possono essere considerati per difetto dato che nel conteggio rientra solo chi è iscritto all’Aire. Tra i paesi più richiesti la Germania (scelta da oltre 3500 persone), la Gran Bretagna (3336) e la Svizzera (3118).