Spagna: Juan Carlos cede yacht, imprenditori battono cassa: “Lo rivogliamo”
29 Maggio 2013 - di Claudia Montanari
MADRID — Gli imprenditori, ora, battono cassa. E dire che, quello yacht che con tanta enfasi avevano donato alla famiglia reale, era uno dei simboli della grandezza e della ricchezza spagnola. Ora Juan Carlos ha deciso di cederlo e gli imprenditori lo rivogliono.
È passato solo poco più di un decennio ma la Spagna non è più la Spagna della fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000. Noi italiani, forse, un po’ possiamo capirli.
Fino a poco più di 10 anni fa gli imprenditori e i politici spagnoli facevano a gara per accaparrarsi le grazie e il prestigio della casa reale spagnola e quello yacht, il maestoso “Fortuna” era stato regalato a Juan Carlos nel 2000 da un gruppo di uomini d’affari attraverso la Fondazione per il turismo e la cultura delle isole Baleari, ufficialmente per assicurarsi che il sovrano passasse le sue vacanze nell’arcipelago mediterraneo, ma soprattutto per promuovere l’immagine turistica delle isole. Erano anni splendidi, quelli, in cui l’immagine della famiglia reale non era ancora stata toccata dagli scandali che l’ha investita invece negli ultimi tempi e, soprattutto, la Spagna non era ancora in piena crisi economica.
Andrea Nicastro scrive sul Corriere della Sera:
“Nessuno aveva niente da ridire. Non i giudici, non la stampa locale, non il Fisco. La storia dello yacht Fortuna è lo specchio degli ultimi tre lustri della corona spagnola. Da munifico dono di 25 grandi imprenditori al loro sovrano, re di sangue e di pubbliche relazioni, la barca si è ridotta a contenzioso legale che di nobile ha ben poco”.
Così il maestoso yacht sfrecciava sui mori dell’arcipelago, in tutti i suoi 41,5 metri, con i suoi interni di lusso, con i suoi motori Rolls Royce: quattro camere matrimoniali più tre cuccette per gli otto marinai, salone, cucina, solarium. 18 milioni di euro per un serbatoio di benzina il cui pieno costa, ogni volta, circa 20 mila euro. Ma agli spagnoli, all’epoca, non dava fastidio. Andrea Nicasatro scrive:
“La Spagna era in boom. I fondi europei affluivano copiosi. Tutto aiutava a trasformare il Paese da spiaggia a basso costo dell’era di Franco a «Florida d’Europa» con strade, aeroporti, ristoranti e ospedali di prim’ordine per ricchi pensionati e giovani intraprendenti. Il re era l’immagine del Paese: allegro, attivo, vincente. Per averlo in vacanza alle Baleari gli imprenditori e il governo locale erano disposti a fare follie. Che però allora nessuno considerava folli”.
Barche a vela, tenute, ville da milioni e milioni di euro. Tutto era regalato alla famiglia reale, il governo era a favore, il popolo acclamava. Il denaro pubblico speso non era un problema.
Oggi, però, sia il panorama socio-economico della Spagna sia l’immagine della famiglia reale sono profondamente cambiati.
Andrea Nicastro scrive sul Corriere della Sera:
“Oggi è diverso. L’austerity detta il tono. L’Infanta Cristina non sarà incriminata per corruzione come il marito, ma forse per aver evaso le tasse sì. Il re ha detto addio ai safari e si è ridotto l’appannaggio statale in solidarietà con i dipendenti pubblici senza tredicesima o pre pensionati. In Parlamento discutono di come rendere trasparenti le spese della Famiglia. Il pieno di carburante per il Fortuna vale da solo 25 mila euro: difficile giustificarlo a sei milioni di sudditi disoccupati. Ecco, allora, che Juan Carlos decide di abbandonare lo yacht. L’estate scorsa, tra ricoveri ospedalieri e scandaletti vari, l’aveva usato un solo giorno per un malinconico pranzo d’addio con gli otto marinai in mezzo al mare”.
Così Juan Carlos rinuncia allo yacht che, sembra, debba andare allo Stato. Ma gli imprenditori, quelli che quello yacht glielo avevano regalato, non ci stanno. Perché quello yacht 13 anni fa lo hanno pagato loro, circa 600 mila euro a capoccia, ci misero, e adesso lo rivogliono: “Il Fortuna è nostro. Se il re non lo vuole più, ce lo riprendiamo”.
E, alla fine, con una crisi economica che sta devastando l’Europa intera, con le loro catene alberghiere, ristoranti, negozi, tutte in profonda crisi, tutte sull’orlo della bancarotta, chi se la sente di biasimarli? Chi se la sente di dar loro degli “accattoni”?