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Dominella (Gattinoni): “Il Governo aiuti le piccole imprese”

14 Maggio 2012 - di Claudia Montanari

ROMA – Benché il mondo della moda abbia reagito, nei limiti del possibile, discretamente bene alla crisi mondiale che è dilagata negli ultimi anni, non rimane di certo indifferente a tutto quello che sta accadendo soprattutto alle piccole e medie imprese. L’ultimo appello è di Stefano Dominella, presidente della griffe Gattinoni, che chiede al Governo e alle banche di aiutare le piccole e medie imprese del settore che a causa della crisi hanno chiuso o rischiano di chiudere i battenti: “Il fatturato estero delle grandi aziende si aggira attorno ad una percentuale del 60-70%. Mentre le piccole e medie imprese faticano a stare a galla. Nell’ultimo anno e mezzo ne sono già state chiuse oltre 5.000”. Senza la giusta attenzione da parte del Governo e senza facilitazioni da parte delle banche, le Pmi rischiano la chiusura e le grandi firme, sottolinea il presidente della maison Gattinoni, “stanno delocalizzando verso l’Est Europa, la Tunisia e la Cina”. La Cina, in particolare, “sta vivendo un boom pari a quello che noi abbiamo vissuto negli anni settanta e ottanta. Oggi ci sono molti più ricchi lì che in Europa e dopo l’acquisto dei televisori e degli elettrodomestici, ora pensano a migliorare la loro immagine e quindi pensano alla moda e quella italiana, così come quella francese, sono per loro un punto di arrivo sociale”.

Così, la percezione del Made in Italy si ribalta. Anche perché il nostro paese è stato invaso dalle holding internazionali della moda a basso costo, come i gruppi commerciali Zara o H&M, “senza pensare alle conseguenze”.

Il risultato, sottolinea Dominella, è che “la moda italiana, intesa come capi d’abbigliamento, non sta più andando di moda. È un discorso di natura culturale e sociale”. La moda, spiega “è cultura e denaro” e a causa della delocalizzazione sta perdendo la sua componente culturale, rappresentata soprattutto dall’artigianato. Il Governo dovrebbe puntare sulla moda “e non crogiolarsi del fatto che resta una delle prime voci nel saldo attivo, con un giro di affari annuale pari a circa 69 miliardi e che con le sue 60.000 aziende sul territorio da lavoro a circa un milione di persone”.

Bisognerebbe dunque untare sull’internazionalizzazione intesa come promozione, tramite iniziative ed eventi, soprattutto nei mercati emergenti ma anche “guardare al Medio Oriente e agli stati della fascia baltica”. Per quanto riguarda le misure di intervento, “il Governo potrebbe incidere, ad esempio, sul costo del lavoro che è altissimo per tutti e sgravare le aziende di alcuni costi, come le tasse sulle esportazioni”.

 

Fonte: Adnkronos