Web rende stupidi? “Internet ostacola apprendimento”. Ma…
14 Ottobre 2015 - di Claudia Montanari
ROMA – Il web rende stupidi? Secondo l’Ocse Internet ostacola apprendimento. Ma è proprio vero? Secondo un articolo apparso su La Stampa, un esperimento dimostra proprio il contrario. Ma andiamo con ordine. Secondo quanto stabilito dall’Ocse, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, la rete indebolisce l’apprendimento e le nuove tecnologie, soprattutto se utilizzare in classe, non sono efficaci per l’acquisizione delle competenze, soprattutto perché cercare informazioni su internet spesso porta a conoscenze errate dovute a strafalcioni che appaiono sul web.
Ma è vero che il web “instupidisce” in tutto e per tutto? Giovanni De Luna scrive su La Stampa:
“Non è vero, in assoluto, che il web impedisca la trasmissione della conoscenza storica nella sua complessità. Lo si può fare, a patto di conoscere le sue specificità e il tipo di ambiente didattico che propone. Sarebbe inutile, ad esempio, far transitare le pagine dei libri di testo in internet così come sono. Resterebbero lettera morta. In realtà, gli strumenti di cui avvalersi sono quelli già presenti nel web a ampiamente utilizzati dagli studenti per comunicare nel loro mondo. In un’esperienza avviata- nel 2012- dalla Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, la ricerca sugli anni del boom economico si tradusse in un profilo facebook in cui un’intera classe riversò il frutto delle proprie elaborazioni con l’acquisizione di fonti e documenti significativi. Il lavoro di ricerca dei materiali on line- ma anche di quelli conservati negli archivi delle famiglie- fu seguito dall’insegnante e da un gruppo di tutor, con gli esperti dei vari linguaggi a suggerire film, programmi televisivi, fotografie. Poi l’esperimento si è allargato fino a rompere un tabù che sembrava inattaccabile: quello della classe, intesa fisicamente come uno spazio chiuso popolato di banchi , cattedre e lavagne. Sfruttando la piattaforma «ed modo», il tema proposto (le guerre del post novecento) è stato affrontato da più classi insieme, appartenenti anche a istituti diversi, collocati in diverse città La tradizionale lezione frontale ne è uscita disintegrata. Più insegnanti e più classi tutte insieme ai tutor, all’interno di un circuito virtuoso in cui i materiali trovati in rete venivano discussi, condivisi, analizzati e sistematizzati in un elaborato finale”
Ancora, si legge su La Stampa:
“Orientati intorno alla coppia concettuale continuità/discontinuità tra ‘900 e post ‘900, le ricerche sull’Isis, le guerre dei Balcani, il conflitto israeliano-palestinese, lo scontro con i narcos in Messico, hanno costretto gli studenti a una vigilanza attiva nei confronti di quanto la rete proponeva, spezzando ogni tipo di acritica passività a vantaggio di una ricezione dinamica e consapevole. Tra i tanti punti di vista con cui è possibile guardare queste guerre, i tutor hanno scelto quello più tipicamente storiografico, usando una chiave unitaria che è quella della crisi dello Stato nazionale. Una crisi che investe tutto il mondo contemporaneo (in Spagna come in Gran Bretagna), ma che è esplosa in particolare dove le istituzioni statali erano state importate dall’esterno, replicando un modello europeo che rivela oggi tutta l’intrinseca debolezza della sua artificiosità”.
Infine, conclude De Luna:
“Quale è, in questo caso, il limite che non bisogna oltrepassare perché la casistica smetta di essere uno strumento conoscitivo, diventando solo l’espressione di un compiaciuto estetismo, l’alimento di una narcisistica contemplazione dell’orrore? E’ un interrogativo che ha messo in gioco gli studenti sia sul piano esistenziale che su quello intellettuale. Le immagini tendono a proporsi in modo invasivo, a sedurre con l’immediatezza delle loro rappresentazioni, a costruire idoli ingannevoli: si può respingere questa seduzione negando la loro rilevanza, confinandole nel regno dell’illusione o della menzogna, espellendole dalla cassetta degli attrezzi degli storici; o viceversa le si può trasportare dentro lo statuto scientifico della storia, trasformarle in documenti, farle interagire con il bagaglio di nozioni di cui lo storico dispone a proposito dei temi sui quali esse vengono messe alla prova come fonti, metterle «in serie» con altre immagini analoghe, valorizzarne la «serialità» a scapito dell’«unicità», uscirne arricchiti sul piano interpretativo così che, alla fine dell’operazione, il vedere è diventato sapere: si tratta di immagini scattate da uomini e sono tutte immagini che rendono «umana» la guerra, nel senso di ricondurla alle intenzioni e alle scelte degli uomini”.