Ibrahimovic, “Non ho tempo” se è bimbo-nessuno. Ma se è suo figlio…
12 Novembre 2013 - di Claudia Montanari
ROMA – Zlatan Ibrahimovic che non ha tempo di vedere Hajrudin Kamenjas, bambino malato di leucemia in forma terminale, perché “troppo impegnato”, ha causato sgomento ed indignazione.
Quanto è importante essere “una persona che conta”? E quanto è importante essere “il figlio di una persona che conta”? Tanto, purtroppo. E non solo in Italia. La storia del bimbo gravemente malato di leucemia che è volato a Parigi per incontrare il suo campione di calcio Ibrahimovic e che, dopo 3 giorni di attesa è tornato a casa senza aver coronato il suo sogno perché Ibra “troppo impegnato” per incontrarlo, ha fatto indignare il mondo.
Ma dietro questa vicenda, dietro questa storia triste e di lacrime, dietro il cuore spezzato di un bambino di 8 anni che da un giorno all’altro, forse, il suo campione di calcio non potrà vederlo più nemmeno in tv, non c’è solo indignazione e amarezza. C’è molto di più. C’è rabbia, c’è quasi rancore. C’è la consapevolezza di appartenere ad una società che, se non sei nessuno, i tuoi sogni difficilmente si avverano.
Perché i sogni, è vero, non sempre si avverano nemmeno per chi “qualcosa conta davvero”. Ma forse, per loro, sì forse è più facile.
Ha fatto sorridere i più la vicenda accaduta solo qualche giorno fa, quando il campione di tennis Djokovic, a seguito della vittoria a Bercy contro Ferrer, salito sul palco d’onore ha regalato la sua racchetta a Vincent Ibrahimovic, il figlio minore di Zatlan Ibrahimovic. Ha fatto sorridere, sì.
Il figlio di Ibra non è particolarmente appassionato di tennis ma Djokovic e il papà sono amici da tempo. Certo, qualcuno ha forse pensato che sarebbe stato meglio se la racchetta l’avesse regalata a qualche bimbo sfegatato di tennis e del campione n. 2 al mondo, ma va bene così.
Poi però accade quello che nessuna mamma, nessun papà vorrebbe mai sentire: il sogno di un bimbo andato in frantumi.
Hajrudin Kamenjas ha solo 8 anni ma da 6 è malato di una forma di leucemia gravissima che -secondo i medici – non gli permetterà di vivere per più di un altro mese. Come quasi tutti i bambini ama il calcio e il suo campione è da sempre Ibrahimovic. Per riuscire ad incontrarlo ha convinto la mamma a portarlo a Parigi dopo che la società francese del PSG aveva assicurato che l’incontro tra il bimbo e il campione ci sarebbe stato.
Un’attesa lunga 3 giorni in cui gli occhi luminosi di Hajrudin hanno cominciato piano piano a spegnersi. a Parigi il bimbo ha assistito ad una partita in cui Ibrahimovic non ha giocato per un infortunio. Ma a Hajrudin non importava, perché lui lo aspettava in tribuna d’ onore. Dove però il calciatore non si è presentato, liquidando la famiglia con un “scusate, sono troppo impegnato”.
È poi iniziata una serie di inspiegabili rinvii nel corso dei tre giorni di permanenza nella capitale francese dove, alla fine, la limousine del club ha riaccompagnato il piccolo all’aeroporto senza che fosse riuscito a realizzare il suo desiderio.
Non spetta a nessuno stabilire se il comportamento di Ibra sia stato dettato da menefreghismo e egoismo oppure davvero da inderogabili impegni lavorativi che non gli hanno dato modo di realizzare il sogno di un bambino malato in fase terminale. Non spetta a noi giudicare il comportamento del campione di calcio.
Ma di fronte a queste vicende, di fronte al figlio di Ibra che riceve, senza particolari motivi, la racchetta di un campione di tennis, e il bimbo bosniaco figlio di nessuno che non riesce ad incontrare nemmeno per un istante il suo idolo, un senso di impotenza ci gela il sangue.
E allora, di nuovo, ci si ripresenta come una morsa, come una pugnalata allo stomaco: quanto è importante essere qualcuno che conta?