Emozioni e bimbi, se ne parlano diventano più empatici
11 Dicembre 2013 - di vnicosia
ROMA – Parlare delle proprie emozioni aiuta i bambini a diventare più empatici. Dalla rabbia alla paura, dalla felicità alla tristezza: parlarne sotto la guida di un adulto e in piccoli gruppo li aiuta a migliorare le capacità cognitive. La scoperta arriva da uno studio del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università di Milano-Bicocca. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Experimental Child Psychology, nell’ambito del progetto PRIN del 2008 “Star bene a scuola: il ruolo della teoria della mente nel favorire lo sviluppo socio-motivo e cognitivo nella scuola primaria”.
La ricerca è stata svolta in collaborazione con l’università di Manitoba, in Canada, ed ha coinvolto 110 bambini delle scuole elementari di Milano. I bambini, distribuiti in un gruppo sperimentale e in uno di controllo, avevano tra i 7 e gli 8 anni. Quattro le fasi dello studio: pre-test, training, post-test e follow-up.
Nella fase di pre-test sono state proposte ai bambini prove individuali di “comprensione delle emozioni”, di “empatia” e di “teoria della mente” (prova cognitiva), per valutare il livello di partenza. Poi si è passati alla fase di training che è durata circa due mesi. Durante questo periodo, i bambini del gruppo sperimentale, dopo aver ascoltato delle storie a contenuto emotivo, venivano coinvolti nelle conversazioni sulla comprensione della natura, delle cause e della regolazione delle emozioni. Per promuovere la partecipazione attiva di tutti i bambini, il gruppo è stato a sua volta suddiviso in piccole classi di circa sei bambini.
Le attività si sono concentrate su cinque emozioni, di cui quattro di base (felicità rabbia, paura e tristezza) e una complessa (senso di colpa). Ciascuna di queste emozioni è stata oggetto di conversazione per tre incontri: il primo focalizzato sulla comprensione dell’espressione, il secondo sulla comprensione delle cause e il terzo sulla comprensione delle strategie di regolazione dell’emozione target.
Ogni incontro è stato strutturato in quattro momenti: introduzione al tema da parte dell’adulto, un racconto di vita quotidiana, avvio della conversazione, e riflessione finale da parte dell’adulto. I bambini del gruppo di controllo ascoltavano le storie e in seguito facevano un disegno, non partecipando dunque alla conversazione.
Nella fase post-test, ai bambini sono state nuovamente proposte le prove. Dopo due mesi tutti i partecipanti è stata riproposta la prova di comprensione delle emozioni per verificare la persistenza degli effetti prodotti dall’intervento. E’ emerso che il gruppo dei bambini sottoposti all’intervento migliora significativamente, rispetto al gruppo di controllo, in vari aspetti della comprensione delle emozioni, nella dimensione cognitiva dell’empatia, e nella prova cognitiva di teoria della mente.
La spiegazione dei risultati sta nell’uso della conversazione in piccolo gruppo, che ha favorito il decentramento cognitivo, l’assunzione del punto di vista dell’altro, la consapevolezza delle differenze individuali e il collegamento – da parte dei bambini – tra mondo interno non visibile e azioni manifeste.
Ilaria Grazzani, coordinatrice della ricerca e docente di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione, ha spiegato:
“La novità dello studio consiste proprio nell’avere scoperto che l’intervento sulle emozioni produce miglioramenti anche nella capacità cognitiva di ‘teoria della mente’, ovvero nella capacità che consente di prevedere i comportamenti degli altri sulla base dell’inferenza dei loro stati mentali (‘se ha fatto questo, forse è perché desiderava qualcosa’; ‘se ha agito in un certo modo doveva essere arrabbiato’)”.
Veronica Ornaghi, assegnista di ricerca, ha aggiunto:
“All’interno della scuola primaria tradizionalmente deputata all’insegnamento dei saperi curriculari è possibile realizzare interventi che, oltre a potenziare le abilità socio-emotive, come la comprensione delle cause delle emozioni, l’empatia e l’aiuto nei confronti dell’altro, producono anche miglioramenti su capacità di tipo cognitivo, per esempio, rappresentarsi la mente dell’altro e prevederne i comportamenti, un’abilità indispensabile nella vita sociale”.