“Sindrome da iperattività non esiste”: la tesi di un neurologo Usa
10 Gennaio 2014 - di Mari
CHICAGO – “La sindrome da iperattività non esiste”: la tesi del professor Richard Saul è destinata a far discutere, visto che confuta, o almeno prova a farlo, una delle patologie che, secondo i criteri usati fino ad ora, colpisce solo negli Stati Uniti un ragazzino su sette. Portando, nei due terzi dei casi, ad una terapia a base di stimolanti e anfetamine, come il Ritalin o l’Adderall.
Secondo Saul, però, quella che è la seconda malattia cronica dell’infanzia dopo l’asma negli Usa non sarebbe altro che una collezione di una ventina di condizioni diverse, dalla miopia, alla depressione, fino al disordine bipolare. E ciascuna di esse richiederebbe un trattamento specifico.
Nel suo studio, pubblicato nel libro “Adhd Does not Exist”, il neurologo si è basato su trent’anni di pazienti che si sono rivolti a lui lamentando scarsa capacità di concentrazione.
Il dottor Saul si è accorto che le ragioni della distrazione cronica erano estremamente diverse: una ragazzina era miope e non riusciva a leggere bene la lavagna, un altro, che non seguiva con attenzione le lezioni di matematica, era più avanti del resto della classe ed è “guarito” una volta spostato con un gruppo più avanzato. Alcuni avevano problemi di udito. Per altri la diagnosi di Adhd nascondeva malattie come la sindrome di Tourette, l’autismo, la sindrome ossessiva-compulsiva, dislessia e altre difficoltà di apprendimento.
Di solito l’Adhd viene diagnosticata tra i tre e i sette anni. Secondo Saul troppi medici prescrivono gli stimolanti dopo un esame superficiale del paziente. D’accordo con lui altri studiosi, anche negli Stati Uniti: Mailyn Wedge, una psicoterapeuta che si batte contro chi somministra Ritalin come se fossero caramelle, ha notato che il 56% degli specialisti che hanno inserito l’Adhd nel manuale delle malattie mentali hanno legami con case farmaceutiche indirettamente beneficiarie della creazione della nuova diagnosi.