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Jeanne Moreau, un’anticonformista al Festival di Venezia

VENEZIA – “Amare un uomo con molti anni di meno? E’ sciocco solo il pensare che sia un problema. Essere di sinistra è giusto, vuol dire stare dalla parte dell’umanità”: a 84 anni Jeanne Moreau, stella di Louis Malle, Roger Vadim, Francois Truffaut, Orson Welles (solo per citarne alcuni) resta sempre anticonformista.


A settembre sarà alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, “un Rocky Horror, un festival “bordelique”, rispetto a Cannes, dove l’organizzazione è militare”. Presenterà Gebo et l’ombre del regista portoghese Manoel de Oliveira, che l’11 dicembre compirà 104 anni.

Di lui racconta, in un’intervista al Corriere della Sera: “Esperienza unica e incantevole. Manoel è un autore di precisione assoluta. Nulla sul suo set viene lasciato al caso. Non dà mai indicazioni psicologiche di sorta, ma la sua sceneggiatura indica ogni minimo dettaglio. Una volta ho fatto quattro passi dove ne erano scritti solo tre. Mi ha fatto rifare la scena. E così è stato quando, invece della mano sinistra, avevo appoggiato su un libro la destra. Controlla ogni gesto, ogni sfumatura… Quand’era contento del risultato mi mandava un bacio con le dita”.

Sul film, Gebo et l’ombre, e sul suo personaggio di Candidinha, Jeanne Moreau dice: “Il cinema di de Oliveira è universale. Lui ha una grande conoscenza della storia del suo Paese, si serve del passato per guardare il presente. Come Fellini, come ogni grande regista, anche Manoel racconta delle favole. Nel suo caso, filosofiche. Candidinha è una donna del popolo. Misteriosa, molto interessata al denaro. S’infila nella casa di Gebo con la scusa di bere un goccio, di assaggiare dei dolcini, ma poi il suo sguardo commenterà con humor i tanti conflitti di quella famiglia. Potrebbe essere una delle comari di Windsor, divertente e allegra. Bizzarra come i cappellini che porta in testa”.

A Venezia Jeanne Moreau presenterà anche Lullaby To My Father, di Amos Gitai, in cui presta la voce per il documentario sul padre del regista, architetto Bauhaus costretto a lasciare la Germania ai tempi del nazismo. “A teatro avevo già portato le Lettere di sua madre, grande donna e intellettuale israeliana. Sono fiera di aver potuto dare voce a entrambi i genitori di Amos, insieme abbiamo girato molti film. Per me è diventato una specie di figlio adottivo. Un uomo di grande ricchezza interiore, di grande coraggio. Ha combattuto nella guerra dei Sei giorni, è stato ferito. Ma il suo sguardo ampio, impegnato e critico verso la politica del suo Paese, sa comprendere anche le ragioni degli altri, dei palestinesi. Un uomo di sinistra”.

Come lei… “È giusto essere di sinistra, vuol dire stare dalla parte dell’umanità. Non ho mai smesso di crederci né di sperare. Adesso che c’è Hollande, mi auguro che in Francia cambierà qualcosa”.

 

 

Mari

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