Romy Schneider

Romy Schneider: “imperatrice dello schermo”

10 Maggio 2012 - di marina_cavallo

NEW YORK – “Non so nulla della vita, ma tutto di cinema,” scriveva Romy Schneider in una lettera alla sua amica, l’attrice Simone Signoret. Romy stava esagerando, naturalmente: la donna che era stata fidanzata con il rubacuori francese Alain Delon e che era stata musa di registi come Luchino Visconti e Orson Welles, sicuramente conosceva molto sulla vita.

Ma non c’è dubbio che la vita le ha anche impartito molte dure lezioni. Infatti, il tormento e la tragedia sono al centro della “mistica Schneider”, che sarà commemorata con “Romy Schneider: imperatrice dello schermo”, una personale con tutti i suoi film che durerà due mesi alla Alliance Française di New York.

L’omaggio giunge al momento giusto: questo mese segna il 30° anniversario della morte di Romy Schneider. Aveva solo 43 anni.

Ma lei continua a vivere sullo schermo,  nelle immagini dei vari “Sissi”, la biografia zuccherosa che ha lanciato la sua carriera, e ne “La Piscine”, il thriller erotico che segnò il suo ricongiungimento con Delon sei anni dopo che lui l’aveva lasciata per la sua amante incinta.

Chi guarda il film, chi vede la Schneider amoreggiare a bordo piscina in uno striminzito abito di maglia, probabilmente troverà l’infedeltà di Delon assolutamente incomprensibile.
Fino alla fine, Romy Schneider era uno schianto.

Maya-Singe Schneider è nata in Austria nel 1938. I suoi genitori erano entrambi attori, e cominciò anche lei la carriera in tenera età. Il suo primo successo arrivò nel 1955 con l’interpretazione di Sissi, l’imperatrice Elisabetta d’Austria, che Romy ha girato diciassettenne e che ha prodotto anche due sequel, entrambi andati a Cannes. Anche se rifiutò il quarto – Sissi nel suo diario scriveva: “Io non sono assolutamente questo genere di donna, non sono così dolce” – la parte la perseguitava, e nel 1972, si ritrova a interpretare di nuovo il ruolo di imperatrice, anche se in modo molto diverso, nel film di Luchino Visconti “Ludwig”.

Romy si stabilì presto a Parigi, dove l’attendevano parti più “appetitose”. Nel 1958, ha svolto il ruolo principale in “Christine”, un remake del film del 1933 “Liebelei”, basato sul dramma di Arthur Schnitzler che originariamente era stato interpretato da sua madre, Magda Schneider.
Ed è stato sul set di Christine che la Schneider ha incontrato Alain Delon. Fu amore a prima vista? A giudicare dall’immagine in cui la coppia radiosa si allontana dall’aereo, potremmo dire di sì, probabilmente. Nel 1959, la coppia annunciò il fidanzamento, e rimasero insieme per cinque anni, anche se non si sono mai sposati.
Romy lavorò molto nei primi anni a Parigi si ritrovò a girare con registi come Otto Preminger e Orson Welles. Delon l’ha presentò anche a Luchino Visconti, che la volle protagonista dell’episodio da lui diretto in “Boccaccio ’70”. Col ruolo di Pupe – la moglie tradita che trova il marito coinvolto in un giro di squillo e decide di esigere dal marito, per punizione, il pagamento delle prestazioni sessuali che, come moglie, sarebbero dovute gratis – Schneider si consacrò come uno dei sex-simbol più notevoli del cinema europeo.
Cosa che le valse un invito a Hollywood a metà degli anni Sessanta, dove passò tre anni lavorando con la leggenda della commedia Jack Lemmon in “Scusa me lo presti tuo marito?”, così come in “Ciao Pussycat”, co-protagonista di Peter O’Toole, Peter Sellers, e Woody Allen, che aveva scritto anche la sceneggiatura.
Nel 1963, Delon concluse il loro rapporto e non troppo “diplomaticamente”: lasciò un biglietto a Romy che diceva: “Vado in Messico con Nathalie.” Lei rispose tagliandosi i polsi. Eppure in qualche modo, contro ogni previsione, i due alla fine ripresero una stretta amicizia, e sei anni più tardi, recitarono insieme a Jacques Deray nell’indimenticabile “La Piscine”,una storia intensa di gelosia sessuale e infedeltà, che inoltre fece conoscere al mondo Jane Birkin.
Romy Schneider aveva anche una sua particolare eleganza. La sua stilista preferita era Coco Chanel, ma non si limitò alle giacche bouclé, le piacevano anche molto le stampe esotiche di Pucci, un amore ripagato dal designer attuale della casa, Peter Dundas, che ha citato Sissi come punto di riferimento fondamentale nella sua collezione a/i 2011.
Con gli anni Settanta, Romy ha brillato nel cinema francese fra le più grandi stelle, vincendo due volte il Premio César come migliore attrice e lavorando in film con autori come Claude Sautet, Claude Chabrol, e Costa-Gavras. Fu anche un’attivista che ha usato il pulpito della sua fama per parlare su questioni come i diritti delle donne.
Ma la tragedia incombeva come un’ombra su Romy: il suo primo marito si era suicidato e il figlio David era morto in un incidente assurdo – per aver messo un piede in fallo nel tentativo di entrare in casa dalla finestra, essendo senza chiavi, precipitò sulle lance appuntite dell’inferriata sottostante e non ci fu nulla da fare -, una perdita da cui non si era mai completamente risollevata.
La fama e la depressione. E la fine l’aveva sorpresa, china sul suo scrittoio, mentre stava buttando giù una lettera a un’amica. Non riusciva a dormire, Sissi, quella sera. E aveva preso qualche sonnifero. Forse eccessivo per il suo fisico, ancora giovanissimo, ma minato dai postumi di un tumore al rene, dal quale era guarita, ma con fatica. Era il 1981.
“Raramente una stella è stata così benedetta dagli dei e così martoriata dal destino, o una donna è stata così brillante eppure così tormentata”, scrive Jean-Pierre Lavoignat, il curatore di una mostra dedicata a Romy Schneider che ha debuttato lo scorso autunno al Museo des Années 30 alle porte di Parigi.
Nel mese di luglio, la mostra riaprirà a Cannes.

Foto: Eva Sereny / CameraPress / Gamma-Rapho / Courtesy of Bundeskunsthalle.de

Per saperne di più su Romy, Gremese ha portato in libreria un volume che ripercorre la triste vita di una delle più celebri attrici, vista da una sua collega, Hildegard Knef, che fu testimone diretta delle sue sofferenze (tante) e delle gioie (poche):
“Romy Schneider. Il racconto appassionato di un mito”
di Hildegard Knef
ed. Gramese