A Scuola con lo Chef R. Scevaroli: La Pasta Sfoglia |1° parte
14 Aprile 2016 - di mlantermino
Roma – A Scuola con lo Chef R. Scevaroli: La Pasta Sfoglia |1° parte.
(a cura di Maria Antonella Calopresti)
Nuovo appuntamento con il Maestro Riccardo Scevaroli, dopo averci insegnato tutti i segreti per fare degli ottimi Lievitati, della fantastica Viennoiseries, dei golosissimi Croissant e Cornetti e uno strepitoso Panettone oggi ci insegnerà tutto sulla Pasta Sfoglia.
La pasta sfoglia rappresenta una delle preparazioni base e fondamentali della pasticceria, poiché è estremamente versatile e si adatta a una varietà di preparazioni dolci e salate. Basti pensare a salatini, pizzette, cannoncini, voul au vent, ventaglietti, sino ad arrivare alle preparazioni più famose come la millefoglie, la saint honorè, la tarte tatin classica etc.
La leggenda narra che questa pasta sia nata, come spesso accade in pasticceria, per errore nel tentativo di un pasticcere distratto di correggere una pasta briseè inserendo del burro a pezzetti nell’impasto e stendendola con il mattarello. In realtà questo impasto sembra sia nato nel XVII secolo ad opera di Claude Lorrain.
Claude Lorrain, giusto per la cronaca, era un artista che si dilettava con la pasticceria e come spesso accade arte e pasticceria vanno di pari passo.
La pasta sfoglia classica è composta da quattro semplicissimi ingredienti ovvero: farina, acqua, sale e materia grassa.
La corretta interposizione della materia grassa (panetto) fra gli strati di pasta (pastello) consentono la lievitazione fisica del prodotto che è caratterizzato da friabilità, leggerezza, una sfogliatura regolare, un ottimo sapore e colore dato dalla quantità e qualità del burro utilizzato.
Per favorire lo sviluppo della pasta sfoglia si può arricchire il pastello aggiungendo uova intere, tuorli, vino vermouth (sino al 10% in peso sui liquidi), aceto, succo di limone (2% sul peso farina).
Spesso preferisco arricchire con uova intere piuttosto che solo tuorlo per due motivi, uno perché la lecitina del tuorlo è un ottimo emulsionante, due perché l’albumina contenuta nell’albume stabilizza la struttura della pasta dopo l’aumento di volume
Il vino influisce sul ph del glutine modificandolo in maniera positiva fornendo maggiore tenacità e forza (quindi agisce da migliorante per farine mediamente deboli quindi con un W 200-220); succo di limone o aceto servono per ridurre gli effetti di imbrunimento della pasta dovuti alla carica enzimatica contenuta nel burro, che si verificano di norma dopo 3-4 giorni di conservazione a +4°C.
Anche il sale gioca il suo ruolo, in dosi da 10 a 20 g su kg di farina dona maggiore sapidità e colore, ma soprattutto agisce in maniera positiva sul glutine conferendo consistenza e stabilità.
La pasta sfoglia ricade in quella categoria di dolci dove la lievitazione è definita lievitazione fisica, ovvero l’umidità del pastello sotto l’azione del calore sviluppa vapore che trovando una barriera, la materia grassa, permette lo sviluppo e la perfetta e regolare sfogliatura del prodotto.
In media una pasta sfoglia sviluppa circa 10-14 volte il suo spessore in altezza, questo solo nel caso in cui lo spessore di laminazione è inferiore agli 8 millimetri.
Maggiore è lo spessore della pasta e maggiore è la tendenza a cuocere la sola parte esterna a discapito della parte interna.
Facciamo quindi una rapida carrellata sugli ingredienti base per fare una scelta sapiente e capire dove si nascondono i problemi più comuni.
La farina ha un ruolo chiave per un corretto sviluppo della sfoglia. Il suo contenuto proteico e il tipo di glutine influenzano fortemente il risultato finale.
Il glutine è la struttura portante di questo tipo di base, perché la rende compatta ed elastica ed in grado di trattenere all’interno il vapore formatosi con il calore e di consentire la formazione di quella struttura stratificata che è appunto la pasta sfoglia.
Utilizzando farine deboli si incorre in alcuni difetti tipici che sono uno scarso sviluppo in cottura, fuoriuscita del grasso in cottura, untuosità elevata e un prodotto finale “pesante” e dal marcato gusto di farina.
Al contrario utilizzando farine di elevata forza si incorre invece in altri tipi di difettosità tipici che vanno dall’ovalizzazione in cottura, ad una estrema fragilità post cottura e ad un prodotto che alla masticazione dà sensazione di legnosità.
La farina scelta dovrà avere un glutine estensibile ed elastico, quindi farine dal basso tenore proteico avranno bisogno di una più lunga lavorazione, magari di un aggiunta di vino, succo di limone o aceto per sviluppare la maglia glutinica e rallentare il degrado enzimatico più marcato rispetto a una farina di forza.
Al contrario una farina di forza richiede dei tempi di lavorazione inferiori alla precedente perché a fronte di un impastamento eccessivo si genera un prodotto con un glutine eccessivamente tenace che in cottura dà luogo a ritrazione della sfoglia, e alla masticazione risulta non friabile.
Una farina equilibrata, per ottenere un prodotto dotato di buono sviluppo, deve essere farina di tipo 00 W280 P/L 0.45.
La materia grassa è fondamentale per una buona riuscita della sfogliatura, quindi la scelta di prodotti di grande qualità è estremamente importante.
Come già detto nei lievitati, la materia grassa da preferire è un burro di alta qualità e dotato di ottima plasticità (in commercio nei circuiti professionali ci sono anche burri in placche appositamente studiati per i lievitati che hanno temperature di fusione e plasticità studiati per ottenere il miglior risultato).
Il burro deve infatti essere plastico, non appiccicoso e deve reggere lavorazioni intense per garantire una ottima stratificazione.
Visti i differenti tipi di prodotto, burro in panetto o in placche, abbiamo due metodi tipici di preparazione del panetto che possiamo utilizzare:
1) Panetto di burro: il burro viene impastato con parte della farina d’impasto (generalmente il 20/30%). Necessita di un riposo in frigorifero per evitare che l’eccesso di lavorazione possa causare la fuoriuscita della materia grassa durante la lavorazione del prodotto. E’ anche influenzato da eccessiva differenza di temperatura, e quindi di consistenza, rispetto al pastello. Come visto per i lievitati sfogliati, la differenza di temperature per incassare correttamente la materia grassa e permettere una uniforme distribuzione all’interno degli strati è di 4°C (per cui generalmente un pastello a circa 10°C ed un burro a circa 6°C).
2) Burro piatto da laminazione: in questo caso si usa direttamente il burro in placche laminandolo prima dell’uso. Generalmente con questo metodo si usa un pastello contenente materia grassa (circa il 15%) riducendone di conseguenza i liquidi, per impermeabilizzare il glutine e ottenere un prodotto maggiormente friabile
Panetto e pastello devono avere consistenze simili altrimenti prevarrebbero alcune delle caratteristiche dell’uno sull’altro pregiudicando il risultato finale.
Un pastello più duro del panetto porta ad avere la prevalenza della parte più resistente a discapito della stratificazione, portando ad un prodotto eccessivamente fragile e irregolare e di consistenza vetrosa.
Un panetto più duro del pastello può portare alla perdita di grasso, una base eccessivamente unta e poco sviluppata.
Quindi una buona regola è:
materia grassa molle –> pastello molle
materia grassa dura –> pastello duro
Vediamo ora la lavorazione del pastello come influisce sul risultato finale:
- Un pastello lavorato per poco tempo, è caratterizzato da una formazione di glutine ridotta per cui il prodotto finale è una sfoglia abbondante e leggermente irregolare.
- Un pastello lavorato per molto tempo dà una sfogliatura più regolare ma di sicuro meno abbondante di quella del pastello lavorato per poco tempo.
Diciamo che buona norma è, con una farina come quella che ho suggerito sopra, un impastamento del pastello di circa 7-10 minuti ed uno stazionamento in frigorifero di circa 1 h prima di procedere alle lavorazioni successive.
Nella prossima lezione affronteremo le pieghe.
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