ROMA – Da un lato il dolce, cibo e bevanda degli Dei, dall’altro accostato, in via metaforica, a una nota caratteriale scorbutica, quasi scostante, di acidità. Eppure l’agro in cucina serve ed ha un ruolo a dir poco fondamentale.
Giacomo A. Dente per il Messaggero spiega che
Nella storia dell’alimentazione l’agro compare spesso quasi per caso, da processi di acidificazione o fermentazione. Successe con gli yogurt, con le zuppe acide di cui il “borscht” dell’Europa orientale è il capostipite, e successe con la birra o con il pane lievitato, come oggi lo intendiamo, derivati da risultati casuali intorno alla minestra acida di cereali.
Nell’antica Roma l’aceto era molto usato in cucina, al punto che ne troviamo anche tipologie non derivate dall’uva, ma dai fichi, o anche dalla sorba o, in tempi più tardi, dal sidro di mele. Nel medioevo e nella cucina rinascimentale compare un acidificante naturale, l’agresto, ovvero il succo di limoni, di arancia, di melangolo, di ribes, di uva spina, di grani di melograno, di mela selvatica, perfetto sulle carni.
In effetti basti pensare ai sottaceti o anche alle infusioni di piante aromatiche per profumare una insalata. Tra le salse, la vinaigrette (olio, sale e aceto); la maionese (che risale alla seconda metà del ‘700); le senape (già conosciute al tempo della Roma imperiale). Ma soprattutto il “testimonial” più diffuso al mondo: il ketchup, un agrodolce di cui si è imposta all’inizio dell’800 quella versione a base pomodoro che ha conquistato il gusto, specie dei più giovani.
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