Cixi, imperatrice cinese che salvò le donne dalla dolorosa fasciatura dei piedi
22 Gennaio 2015 - di Daniela Lauria
PECHINO – Dal 1861 al 1908 il Celeste Impero fu guidato da una donna, l’Imperatrice Cixi, penultima della dinastia dei Qing, subito prima di Pu Yi, l’ultimo imperatore reso celebre anche in Occidente da Bernardo Bertolucci nel suo film capolavoro. Secondo la storiografia ufficiale Cixi fu una regnante autoritaria e conservatrice, manipolatrice e persino lussuriosa, paragonata a una Messalina d’Oriente. Ma per Jung Chang, l’autrice del bestseller internazionale Cigni Selvatici, fu invece un’illuminata incompresa. A lei è dedicato il suo ultimo libro, L’imperatrice Cixi, edito da Longanesi, in libreria dal 22 gennaio. Sottotitolo: “La concubina che accompagnò la Cina nella modernità”.
Jung Chang non è nuova a rivisitazioni storiografiche: nel 2007 ha pubblicato insieme al marito una biografia di Mao Zedong che il Time ha definito “una vera bomba atomica”. Un libro ricco di rivelazioni che smonta il mito della Lunga Marcia e mostra un Mao sconosciuto e tiranno, ritenuto responsabile della morte di 70 milioni di persone in tempo di pace. Censurati in patria, i libri di Chang sono stati tradotti in 40 lingue e letti in tutto il mondo con oltre 15 milioni di copie vendute. Nel suo ultimo libro restituisce dignità ad una controversa figura quale fu quella dell’imperatrice concubina. Cixi, secondo Chang, fu una grande statista, ma anche e soprattutto una donna libera che salvò le altre donne da torture millenarie come la fasciatura dei piedi, rituale assurdo che voleva, per le bambine appartenenti alle classi agiate, l’obbligo di conservare piedi minuscoli come un fiore di Loto quale simbolo di bellezza, status e promessa di obbedienza al futuro marito.
La storia di Cixi comincia in un villaggio sperduto della Manciuria. Qui, nel novembre del 1835, nacque col nome di Lan’er (piccola orchidea). All’età di 16 anni fu scelta come concubina dell’imperatore Xianfeng. Non era bella, piuttosto minuta, alta un metro e 50 appena, ma si faceva notare con le sue scarpe tacco 14. Quando lo sguardo del sovrano si posò su di lei, rimase folgorato dal suo sorriso. Cixi era un’artista del make up: si copriva il viso con una cipria che le conferiva un pallore candido per mascherare la carnagione olivastra; le guance erano chiazzate di un vivace color vermiglio, il labbro inferiore, dipinto di rosso, a forma di lacrima, sembrava una ciliegia. E i suoi occhi evidenziati con il kohl (equivalente del nostro kajal) le donavano uno sguardo inebriante.
Fu accolta nella Città Proibita come preferita imperiale di sesto grado, ovvero il gradino più basso nell’harem del re. Ma dopo poco tempo riuscì a dare alla luce l’unico erede maschio dell’imperatore, che le valse il titolo di Guifei, concubina di secondo rango.
Alla morte di Xianfeng nominò imperatore il figlio di cinque anni e assunse di fatto le redini dell’impero che guidò da dietro a un paravento di seta giallo posizionato alle spalle del trono laccato d’oro su cui sedeva il bambino. Fu allora che la ragazzina venuta dalla Manciuria e divenuta Imperatrice prese il nome di Cixi (Materna e propizia).
Erano anni bui per la Cina, divenuta oggetto del desiderio di un vero e proprio cartello di potenze imperialiste (Inghilterra, Francia, Germania, Stati Uniti e Italia). La dinastia Qing, vigorosa e fiorente negli anni precedenti, era uscita indebolita dalla sconfitta con la Gran Bretagna nella seconda guerra dell’oppio e appariva sempre più screditata tra il popolo.
Cixi cercò di ridonarle l’antico splendore, rispondendo all’aggressione imperialista con la via della modernizzazione e delle riforme, mentre tra le masse contadine e gli intellettuali si andavano diffondendo i primi fermenti nazionalisti e rivoluzionari. Fece fronte a ribellioni, carestie e tradimenti ma soprattutto aprì le porte della Cina al progresso tecnologico.
Jung Chang, intervistata da Marco Del Corona per Io Donna, il femminile del Corriere della Sera, spiega perché a tutt’oggi Cixi gode ancora di una cattiva reputazione:
“Molta della sua cattiva fama dipende dal fatto che fosse di dinastia Manciù. Tre anni dopo la sua morte, la Cina divenne una Repubblica e il movimento repubblicano era radicato tra gli Han, cioè la maggioranza della popolazione cinese, in contrapposizione ai Manciù”.
Nel suo libro Jung Chang prova a ribaltare gli stereotipi e descrive una donna energica e lungimirante che, in un contesto tutt’altro che favorevole, governò per quarantasette lunghissimi anni le sconfinate terre del Celeste Impero.