Ricordiamo Elinor Ostrom, prima donna premio Nobel per l’Economia.
27 Giugno 2012 - di marina_cavallo
Bloomington (Indiana) – Nel silenzio di quasi tutti i nostri stupidi giornali il 12 giugno è morta l’economista americana Elinor Ostrom, la prima donna a vincere nel 2009 il premio Nobel per l’Economia pr il suo lavoro sui beni comuni: aveva 78 anni ed era da alcuni anni malata di cancro.
Ne ha parlato solo “il Fatto quotidiano” con questo articolo di Antonio Nicita:
A 78 anni ci ha lasciati, dopo alcuni anni di malattia, Elinor Ostrom, la prima donna a vincere ilpremio Nobel per l’Economia, tre anni fa.
I suoi studi, a cavallo tra Political Economy e Scienze politiche, si sono concentrati sui meccanismi efficienti per la gestione dei beni comuni, intendendo tanto i beni a proprietà comune, quanto i beni pubblici in senso proprio.
Il suo libro “Governing the Commons” è uno dei più citati dell’economia delle istituzioni e del filone dell’economia ambientale e mostra i rischi connessi all’eccessivo sfruttamento di risorse scarse – come i beni ambientali, ma non solo – quando i diritti non sono ben definiti e, conseguentemente, quando gli incentivi allo sfruttamento ottimo sono mal disegnati.
Come altri economisti delle istituzioni, non aveva una ricetta ottima per ogni circostanza, ma al contrario ha mostrato i rischi della cattiva gestione dei beni pubblici. Una delle principali conclusioni è stata quella di mostrare la relazione funzionale tra natura del bene, grado di scarsità e definizione ottima dei diritti di proprietà (pubblici, comuni, privati).
L’esempio più evidente è quello dei beni comuni come l’aria, l’acqua, il suolo, l’uso delle risorse ambientali in generale. Per questi beni, il mercato lasciato a se stesso finisce per generare allocazioni inefficienti o, peggio, la dissipazione delle risorse. Soggetti razionali tenderanno ad appropriarsi dei benefici derivanti dall’uso non cooperativo delle risorse ambientali, scaricandone i costi sociali sugli altri soggetti. Un tema diventato di drammatica attualità nel caso dei beni comuni globali, quali l’atmosfera minacciata dai gas climalteranti.
La Ostrom ha in particolare studiato le forme alternative di governance dei beni comuni, dalla gestione pubblica diretta alla privatizzazione, dalla regolazione amministrativa alle politiche di tassazione, evidenziando meriti e rischi delle diverse soluzioni istituzionali. Ha così insegnato a tutti noi che i luoghi e i beni dove le persone vivranno, lavoreranno e passeranno il tempo libero nel prossimo futuro saranno inevitabilmente governati e amministrati da sistemi misti di proprietà collettive e individuali.
Ho avuto l’onore di conoscerla proprio nel 2009 e di incontrarla ancora nel 2010 un paio di volte. Simpaticissima, umile, seguiva i seminari di tutti, prendendo appunti e distribuendoli agli interessati. Con una speciale attenzione per le economiste e le politologhe. Era una economista umile e capace di ascolto. Capace di domandare in un mondo nel quale gli economisti amano gridare opposte certezze, nella presunzione che la scienza economica possa fare a meno della complessità del sociale. Elinor era una economista e una politologa di altri tempi. Di quando erano le domande a contare più delle risposte.
Anche per questo Elinor Ostrom ci mancherà.
Noi vogliamo ricordarla pubblicando un estratto dell’introduzione al volume “La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica”, a cura di E. Ostrom e di C. Hess, pubblicato da Bruno Mondadori nel 2009.
Con la parola “conoscenza” (knowledge) si intendono in questo libro tutte le idee, le informazioni e i dati comprensibili, in qualsiasi forma essi vengano espressi o ottenuti. Il nostro approccio è in linea con quello di Davenport e Prusak (1998, p. 6), i quali scrivono che «la conoscenza deriva dalle informazioni come le informazioni derivano dai dati».
Machlup (1983, p. 641) ha introdotto questa distinzione fra dati, informazioni e conoscenza, in cui i primi sono frammenti di informazione allo stato grezzo, le informazioni sono costituite dall’organizzazione contestualizzata dei dati, e la conoscenza è l’assimilazione delle informazioni e la comprensione del modo in cui esse vanno utilizzate.
In questo libro impieghiamo il termine “conoscenza” per riferirci a tutte le forme di sapere conseguito attraverso l’esperienza o lo studio,8 sia esso espresso in forma di cultura locale, scientifica, erudita o in qualsiasi altra. Il concetto include anche le opere creative come per esempio la musica, le arti visive e il teatro.
Alcuni ritengono che la conoscenza sia “dialettica”, nel senso che possiede una doppia “faccia”: in quanto merce e in quanto elemento fondante della società (Reichman e Franklin 1999; Braman 1989). Questa doppia funzionalità – come esigenza umana e come bene economico – è indizio immediato della natura complessa di questa risorsa. Acquisire e scoprire conoscenza è al contempo un processo sociale e un processo profondamente personale (Polanyi 1958).
Ancora: la conoscenza è cumulativa. Nel caso delle idee l’effetto cumulativo genera vantaggi per tutti nella misura in cui l’accesso a tale patrimonio sia aperto a tutti, ma sia quello dell’accesso sia quello della conservazione erano problemi seri già molto prima dell’avvento delle tecnologie digitali. Una quantità infinita di conoscenza attende di essere disvelata.
La scoperta delle conoscenze future è un tesoro collettivo di cui dobbiamo rispondere di fronte alle generazioni che ci seguiranno. Ecco perché la sfida di quella attuale è tenere aperti i sentieri della scoperta. Assicurare l’accesso alla conoscenza diventa più facile se se ne analizza la natura e si mette bene a fuoco la sua peculiarità di bene comune. Questo approccio è in contrasto con la corrente letteratura economica, nella quale la conoscenza è stata spesso indicata come tipico esempio di bene pubblico “puro”: un bene disponibile per tutti e il cui uso da parte di una persona non limita le possibilità d’uso da parte degli altri.
Nella trattazione classica dei beni pubblici, Paul A. Samuelson (1954, pp. 387- 389) ha classificato tutti i beni che possono essere utilizzati dagli esseri umani come puramente privati o puramente pubblici. Samuelson e altri, tra cui Musgrave (1959), hanno posto tutta l’enfasi sull’esclusione: i beni dal cui uso gli individui potevano essere esclusi andavano considerati privati. Nell’affrontare questi problemi, gli economisti si concentrarono dapprima sull’impossibilità dell’esclusione, per poi orientarsi verso una classificazione basata sull’alto costo dell’esclusione.
Da quel momento i beni sono stati trat-tati come se esistesse una sola dimensione. Solo quando gli studiosi hanno sviluppato una duplice classificazione dei beni (V. Ostrom ed E. Ostrom 1977), è stato pienamente riconosciuta l’esistenza di un loro secondo attributo.
Il nuovo approccio ha introdotto infatti il concetto di sottraibilità (a volte definita anche rivalità) – per cui l’uso del bene da parte di una persona sottrae qualcosa dalla disponibilità dello stesso per gli altri – come fattore determinante di pari importanza per la natura di un bene. Ciò ha condotto a una classificazione bidimensionale dei beni. La conoscenza, nella sua forma intangibile, è rientrata allora nella categoria di bene pubblico, dal momento che, una volta compiuta una scoperta, è difficile impedire ad altre persone di venirne a conoscenza. L’utilizzo della conoscenza (come per esempio la teoria della relatività di Einstein) da parte di una persona non sottrae nulla alla capacità di fruizione da parte di un’altra persona. Questo esempio, naturalmente, si riferisce alle idee, ai pensieri e al sapere derivanti dalla lettura di un libro: non al libro in quanto oggetto, che sarebbe classificato come bene privato.
In questo volume impieghiamo le espressioni beni comuni della conoscenza e beni comuni dell’informazione in maniera intercambiabile. Alcuni capitoli si concentrano in particolare sulla comunicazione scientifica e accademica, ma le questioni discusse hanno un’importanza cruciale che si estende ben al di là della “torre d’avorio”. Ciascun capitolo si dedica a un particolare aspetto della conoscenza in forma digitale, principalmente perché le tecnologie che consentono una distribuzione globale e interattiva dell’informazione hanno trasformato radicalmente la struttura della conoscenza come risorsa.
Uno dei fattori critici relativi alla conoscenza digitale è la continua e radicale trasformazione (“ipercambiamento” o hyperchange) delle tecnologie e delle reti sociali che coinvolge ogni aspetto della gestione e del governo delle conoscenze, compresi i modi in cui esse sono generate, immagazzinate e conservate. I sempre più numerosi studi sui vari approcci ai beni comuni della conoscenza mostrano la complessità e la natura interdisciplinare di queste risorse. Alcuni beni comuni della conoscenza risiedono al livello locale, altri al livello globale o in una posizione intermedia e tutti sono suscettibili di una molteplicità di utilizzi diversi e sono oggetto di interessi in competizione. Le aziende hanno premuto per misure più rigide a tutela di brevetti e copyright, mentre molti ricercatori, studiosi e professionisti si impegnano per assicurare il libero accesso alle informazioni. Le università si trovano su entrambi i fronti del dibattito sui beni comuni: da una parte, sono detentrici di un crescente numero di brevetti e fanno sempre più affidamento sulle sovvenzioni alla ricerca da parte delle aziende; dall’altra, incoraggiano il libero accesso alla conoscenza e la creazione di archivi digitali per i risultati delle ricerche svolte nei loro dipartimenti.
Gran parte dei problemi e dilemmi che affrontiamo in questo libro sono sorti in seguito all’invenzione delle nuove tecnologie digitali. L’introduzione di nuove tecnologie può rivelarsi decisiva per la robustezza o la vulnerabilità di un bene comune. Le nuove tecnologie possono consentire l’appropriazione di quelli che prima erano beni pubblici gratuiti e liberi: così è avvenuto, per esempio, nel caso di numerosi “beni comuni globali” come i fondali marini, l’atmosfera, lo spettro elettromagnetico e lo spazio.
Questa capacità di appropriarsi di ciò che prima non consentiva appropriazione determina una meta-morfosi sostanziale nella natura stessa della risorsa: da bene pubblico non sottraibile e non esclusivo, essa è convertita in una risorsa comune che deve essere gestita, monitorata e protetta, per garantirne la sostenibilità e la preservazione.“