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Germanwings, volo nato poesia per carezzare un cielo d’avorio e scoprirsi follia

ROMA – Il 26 giugno 1959 il volo TWA 891 si schiantò al suolo vicino a “cascina Agnese”, evitando per poche decine di metri il centro abitato di Olgiate Olona, in provincia di Varese. Delle 70 persone a bordo nessuna è sopravvissuta. Martedì 24 marzo 2015 l’airbus A320 della Germanwings precipita sulle alpi francesi. I morti sono 150, nessun superstite.

Due tragedie immani, due disastri aerei che sarebbe ingiusto paragonare se non per l’immenso dolore causato oggi, come allora. Volo intercontinentale il primo, proveniente da Atene e diretto a Chicago, interrotto da un violento nubifragio dopo lo scalo all’aeroporto di Milano Malpensa. All’epoca non c’erano scatole nere (non ancora introdotte) in grado di spiegare l’accaduto, ma secondo le indagini la colpa fu di un fulmine che avrebbe colpito un’ala dell’aereo già sovraccarico di elettricità, incendiando il cherosene nei serbatoi.

Volo low cost il secondo, partito da Barcellona e diretto a Dusseldorf, finito tragicamente in mano a un co-pilota presumibilmente depresso e con aspirazioni suicide, Andreas Lubitz, che ha portato con sé 149 passeggeri alla morte. Almeno stando a quanto sinora raccontatoci dalla scatola nera che ha registrato i tentativi del capitano di sfondare la porta della cabina di pilotaggio, dove Lubitz si era asserragliato dopo aver attivato la discesa.

Due tragedie inconcepibili, la seconda più agghiacciante della prima, che lasciano dietro di sé dolore, disperazione e sconforto. “Sinfonia spezzata di un volo nato poesia per carezzare un cielo d’avorio e scoprirsi follia”, recita una poesia di Cristiano Comellicomposta per il 50° anniversario della sciagura di Olgiate Olona. Versi che sembrano tragicamente evocare anche il disastro aereo di martedì scorso.

In memoria del 26 giugno 1959 

Lamiere che non sanno vestirsi di parole
eppure possono parlare
sono sinfonia spezzata di un volo nato poesia
per carezzare un cielo d’avorio e scoprirsi follia.
Settanta respiri di cristallo salutano impotenti la terra
finale di un teatro dell’orrore di maledetta imprevisione.
Olgiate è una maestosa balena
ferita mortalmente al dorso dal pugnale di rame
di un destino che sguscia sogghignante dalle mani di ogni mente razionale.
Le lacrime vanno a nascondersi tra le braccia di un’anelata dimenticanza
e il tremore di ricordare un soffio d’esistenza morso per sempre dalla ruggine.
Ruggisce un grembo impotente
il grido fresco e lacerante di una vita che non diverrà mai vita.
Bandiere che odorano del fumo di annientamento
che morde l’aria con agghiacciante precisione
piangono sui loro stessi colori.
Una piccola lapide manda un bacio ad angeli risucchiati da una nuvola
senza accorgersi di essere divenuti angeli.

Daniela Lauria

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