Lucia Annibali sfregiata con acido: in un libro la sua “storia di non amore”
11 Marzo 2015 - di Daniela Lauria
PESARO – La sera del 16 aprile 2013 Lucia, giovane avvocatessa di Pesaro, rientra a casa dopo una nuotata in piscina. Non sa che ad attenderla, nascosti in quell’appartamento, ci sono due sicari incappucciati: uno fa il palo, l’altro è in posizione pronto ad aggredirla nel più vile dei modi, gettandole l’acido in faccia e sfigurandola irrimediabilmente. Quella stessa notte viene arrestato come mandante dell’aggressione Luca Varani, anche lui avvocato, che con Lucia aveva avuto una tormentata relazione troncata da lei ad agosto 2012.
Il nome di lei, Lucia Annibali, è finito su tutti i giornali: è divenuto il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne e di un’incredibile, faticosa, risalita dagli inferi dell’orrore. Una storia di rinascita raccontata dalla stessa vittima nel libro Io ci sono. La mia storia di non amore, scritto a quattro mani con la giornalista del Corriere della Sera, Giusy Fasano.
Il libro ripercorre ogni singolo avvenimento a partire dalla sua storia di “non amore” con quell’uomo che l’aveva prima ingannata e poi perseguitata. Lui era un bugiardo incallito che all’inizio le aveva tenuto nascosta un’altra relazione di ben dieci anni con un’altra donna, con la quale ebbe anche un figlio. Lucia lo perdona, si fa succube e complice di quel circolo vizioso, fino al giorno in cui finalmente compie una scelta salutare e decide di troncare. Da quel momento il comportamento di lui diventa ossessivo: appostamenti, messaggi ambigui, intrusioni in casa, arrivando persino a manometterle l’impianto del gas con il rischio di far saltare in aria l’intero palazzo.
Poi l’agguato con l’acido: gli esecutori sono due albanesi al soldo di Varani che in tribunale si difenderà sostenendo che nei suoi piani c’era l’intento di farle sfregiare l’auto e non la faccia. Ma i giudici non gli hanno creduto e lo scorso 23 gennaio gli hanno confermato in appello la condanna a 20 anni per le accuse di tentato omicidio, lesioni gravissime e stalking.
Prima di arrivare al processo però Lucia ha dovuto fare i conti con atroci sofferenze fisiche e psicologiche. Con un volto che non era più il suo e un calvario lungo 15 interventi chirurgici a Parma e altri ancora cui dovrà sottoporsi. Le ustioni che l’avevano inizialmente resa cieca e le avevano corroso anche il dorso della mano destra stanno ora lentamente scomparendo lasciando il posto ad un inguaribile sorriso.
Da quella sera del 16 aprile 2013 Lucia ha abbracciato la sua seconda vita e con incredibile forza d’animo si è fatta volto e predicato per tutte quelle donne vittime dello stesso schema: il possesso scambiato per amore, la rabbia che diventa ferocia, fino alla crudeltà estrema (l’acido).
“Io non mi arrendo, e questa ferita diventerà la mia forza – si legge nel libro – quello che ho vissuto è paragonabile a un’uccisione, la mia identità non c’era più, da qui è partito un calvario, una tortura nel ricostruire un pezzetto alla volta il mio volto, superando grandi sofferenze fisiche: non ci sono parole per esprimere il dolore degli ustionati”.
“Nella mia vita il bello deve ancora avvenire – scrive ancora – perché la vita che conducevo prima non era felice, perché non avevo costruito la mia identità; ora sono passati due anni ed è bella la possibilità di poter ricostruire una seconda vita. Sono una donna orgogliosa di me stessa“.
La sua storia vuole essere un incoraggiamento a tutte le Lucia ancora prigioniere di un “non amore”:.
“Il mio – spiega – non era amore, ho preso un abbaglio, ho creduto che lo fosse, adesso lo so che non era così. Anche se si è innamorate si può capire se è vero amore, chiedendosi se la situazione del rapporto ti rende felice, serena, ma se le tue aspettative vengono sempre disattese e se c’è un conflitto tra quello che vuoi e quello che fai, evita di andare oltre, non fare in modo che sia troppo tardi”.
E infine consegna a tutti l’orgoglio di chi è rinato, di chi ce l’ha fatta a riemergere “più forte e più bella di prima”.