Violenza: la denuncia delle donne se coinvolti i figli
26 Giugno 2012 - di marina_cavallo
ROMA – Il 100 per cento delle madri che in casa subiscono violenza sta zitto per difendere l’unità familiare. Ma quasi tutte (il 97 per cento), se ad andarci di mezzo sono anche i figli, rompono il silenzio. A dirlo è un’indagine europea, Daphne III, condotta parallelamente in Italia, a Cipro, in Romania e in Slovacchia per scoprire quali sono le conseguenze su bambini e ragazzi della violenza sulle madri.
LA RICERCA – Stando agli ultimi dati Istat, nel 62,4 per cento dei casi i figli assistono alla violenza domestica e quasi la metà di essi ha meno di 11 anni, secondo Daphne III. Il danno è permanente: se l’episodio avviene prima dei 15 anni, può portarli a non desiderare né una famiglia né una relazione propria per paura di ripetere il comportamento di cui sono stati testimoni. Aggressività verso i genitori e i pari, bullismo, scarsa autostima sono solo alcune delle conseguenze più diffuse tra i figli di madri vittime di violenza, che, nel 100 per cento dei casi, inizia con una minaccia verbale. E non si ferma alle parole: il 79 per cento delle intervistate ha uno o più referti del Pronto soccorso.
Tra i pretesti che danno il via all’escalation, futili motivi, “stati emotivi dell’uomo definiti come egocentrismo e gelosia”, separazione, gravidanza non desiderata, gestione familiare e successo professionale della donna. Le testimonianze italiane, raccolte grazie ai verbali anonimi forniti dalla Polizia soprattutto nel Sud Italia e nelle isole, riguardano donne che hanno subito violenza tra i 16 e i 60 anni, con figli fino a 27. “Sono quelle che hanno rotto il silenzio, perciò riconoscono la violenza e l’hanno narrata e ben definita in ogni sua manifestazione” spiega Sandra Chistolini, responsabile del progetto Daphne III per l’Università Roma Tre.
Ilfattoquotidiano.it l’ha intervistata.
Sandra, il silenzio che accompagna la violenza domestica è una peculiarità tutta italiana o è riscontrabile anche negli altri Paesi oggetto dell’indagine?
E’ presente in tutti i Paesi che abbiamo analizzato. Le ragioni sono culturali, religiose, valoriali. La letteratura scientifica documenta ampiamente il dato anche per altri Paesi come quelli del Nord America. Tra i motivi del silenzio delle donne, oltre al voler proteggere la famiglia vi è anche la paura di rimanere senza partner, nonché la speranza che questo sia pentito della violenza e possa non farne più uso.
La distribuzione geografica della ricerca è casuale o al Sud ci sono più casi di violenza (o più casi di violenza denunciati) in seno alle famiglie?
Sono state riscontrate molte difficoltà a raccogliere i verbali, per questo abbiamo accettato quello che è stato fornito senza poter procedere a un campionamento proporzionale per ripartizione geografica.
La persona che esercita violenza è sempre il partner o anche altro parente?
In alcuni casi sono altri familiari. Emerge comunque il ciclo ripetitivo della violenza: il carnefice e la vittima sono stati a loro volta oggetto di violenza nella famiglia di origine, dove hanno appreso il ruolo di colui che aggredisce e di colei che subisce sin da piccoli, senza sperimentare un’alternativa valida che rompesse la dinamica.
Pensa che sia in atto, o sia possibile, un cambiamento culturale nella società italiana?
Il cambiamento è possibile ed è in atto sia a livello di sensibilizzazione dei mass media, sia nella coscienza delle donne.
Le istituzioni hanno coscienza di quanto sia grave e diffuso questo fenomeno?
Le istituzioni (polizia, carabinieri, ospedali, scuola, centri anti-violenza, associazioni, parrocchie, vicinato, università) talvolta sono lente, disattente, passive, e come prima reazione in genere si tende a non prestare fiducia a quello che la donna racconta o a sminuirne la portata.
Quali sono i comportamenti violenti perpetrati abitualmente a livello psicologico, sociale, economico, che la maggior parte di noi donne italiane non riconosce come tale?
Le violenze verbali e psicologiche sono le prime a comparire e sono anche quelle più nascoste. Infatti solo i referti medici che mostrano la violenza fisica fanno iniziare di fatto l’iter della difesa giuridica della donna. Poi arrivano lo stalking e la privazione economica. La violenza sociale, che emerge chiaramente in tutte le narrazioni delle donne, si manifesta nell’isolamento della famiglia e nella difficoltà dei minori testimoni di violenza a stabilire relazioni con i pari. Il danno al minore, di cui la nostra ricerca Daphne III si è occupata, è ancora tutto da esplorare.
fonte: il fatto quotidiano