ROMA – Natale di crisi? Sì, ma non se si tratta dei propri cuccioli domestici. Nei “pet shop” infatti, i negozi che vendono abbigliamento ed articoli per gli animali, i consumatori non badano a spese tra collarini con brillantini e Swarovsky, cappottini e magliettine, colli in pelliccia e vestitini con fiocchi e rouches.
È un vero e proprio fenomeno quello che porta a “umanizzare” il proprio animale domestico, stigmatizzato però dal sociologo Paolo De Nardis.
“Ci sono persone che vogliono vestire i propri cani con gli stessi marchi che vestono loro scegliendo capi di piume d’oca o di cachemire – spiega Nausicaa Mattei, titolare, insieme a Daniele Saveri di un negozio specializzato di Roma – Oggi gli animali sono stati molto umanizzati. L’evoluzione dei pet shop deriva proprio da questo: dalla estremizzazione dei bisogni degli animali”.
Il paradosso è che, nonostante la crisi, il settore dei pet shop è l’unico a non registrare contrazioni. In una famiglia su tre è presente almeno un cane o un gatto. Secondo le ultime stime ufficiali dell’Eurispes sono oltre 45 milioni gli animali presenti nelle case degli italiani. La cifra totale della spesa di settore supera di poco i 4,5 miliardi di euro e comprende prestazioni veterinarie, alimentazione, medicinali, prodotti igienici e abbigliamento. Basta entrare in un negozio ben fornito per capire che ormai anche i cani e i gatti seguono la moda.
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