Nuove collezioni cruise FOTO: le dive volano alle sfilate
6 Giugno 2017 - di Claudia Montanari
SCOSTUMISTA – Nuove collezioni cruise FOTO: le dive volano alle sfilate L’Acropoli di Atene non è in vendita, ma è corteggiatissima dagli stilisti. Karl Lagerfeld se la fa ricostruire al Grand Palais, titolando la collezione Cruise di Chanel “La modernité de l’ antiquité” celebra il classicismo greco e il classicismo di un marchio i cui abiti sono ormai pezzi di storia della moda, la bellezza del Partenone è eterna così come i capi Chanel sono senza tempo, e tra colonne e capitelli sfilano modelle con sandali alla schiava indossando tuniche e pepli , ma anche i classici tailleur in tweed segno distintivo della Maison; è una moda fluida che mischia Parigi alla Grecia creando una mitologia moderna e contemporanea. Ad ammirare le dee greche di Chanel un parterre di affezionate amiche del designer come Keira Knightley, Caroline De Maigret, Anna Mouglalis, Isabelle Huppert, ma anche Pedro Almodovar, Liu wen, Liu Shishi, Ellie Bamber.
”C’è una certa modernità nell’antichità, una celebrazione oggettiva della femminilità che ha ispirato la storia dell’arte e tutto il Rinascimento”, sono parole di Karl Lagerfeld, che probabilmente condivide l’altro geniale designer Alessandro Michele, mente creativa di Gucci. Anche lui desiderava l’acropoli greca come location per la sua Cruise Collection, ha quindi dovuto “ripiegare” sulla Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze, città dove il marchio ha le sue radici. Tra dipinti di Caravaggio, Botticelli, Tiziano, Rubens, Velázquez…appartenuti a Lorenzo de’ Medici, modelle e modelli contrastano come opera kitch in cui convergono ispirazioni che vanno dall’antica grecia al rinascimento, fino ad arrivare a stili più vicini come il punk, lo sportswear, l’indie rock e il rap giungendo al discusso influsso dell’estetica di Daniel Day aka Dapper Dan, lo stilista che con il suo atelier di Harlem, tra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, ha costruito un incredibile mix di stili, da lui definito “ghetto clothing”, tradotto oggi nell’hip-hop afro-americano. Michele crea una moda fusion che guarda al passato ma anche alla strada e ai movimenti e all’arte contemporanea, una moda che grazie ad una cultura aperta si evolve e si contamina arricchendosi di elementi inaspettati. Tra gli affreschi, gli stucchi, le cornici dorate delle sale e il suono dell’arpa ad acclamare il designer in jeans e T-shirt con il claim “Guccify Yourself!” c’ erano celebrità tra cui Jared Leto, Elton John, Kirsten Dunst , Dakota Johnson, Beth Ditto, Valeria Golino e Salma Hayek, moglie del proprietario di Gucci, François-Henri Pinault.
Miuccia Prada non sognava il Partenone, ma ha deciso di portare la collezione Cruise nella sua Milano, lì dove il marchio ha avuto origine: nella storica Galleria Vittorio Emanuele II, qui infatti è stato fondato da Mario Prada il primo negozio di articoli da viaggio di lusso e qui, all’ Osservatorio della Fondazione Prada, nuovo spazio espositivo dedicato alla fotografia ha sfilato la collezione Cruse 2018. Sotto la cupola in vetro e ferro che copre la Galleria realizzata da Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1867, sfilano 38 modelli delicati e leziosi, ma al tempo stesso forti e decisi, colori tenui, piume e cristalli, spalline di pizzo su lingerie, trasparenze, ma anche felpe con ampie maniche elisabettiane, calzettoni sportivi al ginocchio e sneakers ai piedi o decolleté a punta chiuse da un cinturino con velcro, pajamas con marabù, chiffon, maglia metallica, nylon, paillettes e cristalli, contrasti che si materializzano su ragazze grintose che non rinunciano però alla loro femminilità. Le modelle camminano lungo le vetrate, illuminate dal sole del pomeriggio, sembrano sospese tra il cielo e la cupola in ferro decorato, i dettagli eterei della collezione si amalgamano così con la scenografia creando un effetto di evanescenza.
Wild Wild West invece, per la prima collezione Christian Dior Cruise disegnata da Maria Grazia Chiuri, che ha scelto lo skyline della California ispirata dai dipinti murali preistorici delle grotte di Lascaux, nella Francia sud-occidentale, dipinti che affascinarono lo stesso Christian Dior che nel 1951 usò questi schizzi primitivi come grafica per una collezione. In in un ex riserva Indiana tra le montagne di Santa Monica con tanto di tende, mongolfiere e falò, sfila una collezione che si mischia ai colori della terra, ocra, rosso, arancio, nero e marrone, gonne ampie e lunghi abiti ricamati, minidress con frange, poncho, piume e suede, pellicce, cappelli da gaucho e gioielli messicani, camperos e sandali flat e la famosa giacca “Bar” in una forma più fresca e moderna. Cantanti e celebrity di Hollywood sono venuti ad assistere alla bellezza selvaggia proposta da Dior; star come Charlize Theron, Demi Moore, Rihanna, Freida Pinto, Brie Larsen, Miranda Kerr, Laura Dern, Kate Bosworth e Solange Knowles che si è esibita per il party post-sfilata. Presente anche Bernard Arnault, presidente e amministratore delegato di LVMH con il figlio Alexandre, marchio che detiene anche un altro brand di lusso: Louis Vuitton che sfila qualche giorno dopo a Kyoto.
Nicolas Ghesquière, direttore creativo di Louis Vuitton, ha scelto il Miho Museum, per lo show, opera di I. M. Pei, architetto che ha anche disegnato il Grand Louvre e le sue piramidi. Le modelle escono da un tunnel in metallo e cavalcano un ponte sospeso al di sopra di un burrone, immerso in una foresta lussureggiante, e se Chanel titola la sua collezione resort “La modernité de l’ antiquité”, questa di Louis Vuitton potrebbe chiamarsi “Dalla tradizione alla modernità”, la tradizione orientale ispirata dalle vesti dei samurai, dal teatro Kabuki e dal teatro Nō, si fonde con materiali moderni e forme rivisitate per dar vita a lunghe camice indossate su leggings, maxi pellicce, cappotti in suede e ampi gilet di pelle intrecciata che ricordano le armature dei guerrieri giapponesi. Must-have della prossima stagione saranno le borse con le grafiche di Kansaï Yamamoto, designer famoso per aver collaborato ai look di David Bowie. A volare fino Kyoto per assistere alla sfilata: Michelle Williams, Isabelle Huppert, Riley Keough, Jennifer Connelly, Sophie Turner.
La contro-cultura hip-hop non influenza solo la sfilata di Gucci, ma anche Pier Paolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, parte dal Bronx anni ’70 quando la Disco cede il passo appunto all’ hip-hop, e traghetta la sua collezione nell’epicentro artistico di quegli anni: New York. La collezione sfila in un loft a downtown, alla presenza di poco più di 200 invitati, tra cui Maggie Gyllenhaal, Marisa Tomei, Olivia Palermo, Christina Ricci, Zandra Rhodes, e Helena Christensen. Gli elaborati abiti ricamati, di cui la Maison è maestra, si mixano con outfit sportivi regalando un’atmosfera più rilassata, denim a gamba larga e morbidi, felpe con cappuccio, abiti scivolati, pantaloni con banda sportiva laterale, sneakers di piume, slides e infradito di pelliccia, scarpe con tacco indossate con calzini bianchi atletici per accentuare lo sport-luxe anima della collezione. “Vorrei che Valentino offrisse la possibilità di avere uno stile personale, caratteristica che penso interessi molto alle nuove generazioni. Io le guardo, le studio, mi interessa il loro tornare ai canoni classici della bellezza con un’attitudine completamente nuova, diversa, senza pregiudizi. Questa giovinezza mi interessa molto: ha poco a che vedere con l’età e riguarda più la volontà di mischiare epoche, ricordi, estetiche e culture diverse, quasi sempre classiche o storicizzate, con una modalità libera e forse un po’ punk”. Queste le parole di Pier Paolo Piccioli, ma che potrebbero essere sottoscritte anche da Karl Lagerfeld, Alessandro Michele, Maria Grazia Chiuri e Nicolas Ghesquièere.
Ma anche da tutti noi.
di Annapaola Brancia d’Apricena