Nuovi materiali per una moda ecosostenibile
5 Aprile 2018 - di Claudia Montanari
Scostumista– L’industria tessile e della moda propone sempre più soluzioni innovative e rispettose dell’ambiente. L’obiettivo è quello di arrivare ad un’economia circolare a basse emissioni di carbonio, utilizzando fibre provenienti da rifiuti organici, alghe o avvalendosi di nuove modalità di riciclo. Fino ad oggi l’’industria tessile ha utilizzato una serie di sostanze chimiche, tra cui gli ormoni e potenziali cancerogeni, per produrre i vestiti che indossiamo. Agroloop biofibre si è aggiudicata il primo posto della terza edizione del concorso Global Change Award 2018, contraddistinguendosi per la sua capacità di accelerare il processo di rinnovamento della moda. Si tratta di un tessuto vegetale derivato da scarti dei raccolti delle aziende agricole. Scarti alimentari come semi di lino, banane, canna da zucchero o ananas recuperati presso aziende agricole che avrebbero dovuto smaltirli bruciandoli, rilasciando conseguentemente CO2 e gas metano nell’atmosfera. Interessantissima anche la sturtup The Regeneretor che, attraverso l’uso di un particolare agente chimico ecologico propone una valida soluzione per separare il poliestere dal cotone nei tessuti misti rendendoli così riciclabil. Rivoluzionario è anche il filo Smart Stitch che agevola le operazioni di riciclo e riparazione degli indumenti perché in grado di dissolversi ad alte temperature. Mentre Algae Apparel ha ideato una nuova tecnologia per produrre fibre e tinture partendo dalle alghe le cui vitamine, proprietà antiossidanti e sostanze nutrienti svolgono anche un’azione idratante al contatto con la pelle. Lo studio di design con sede a Berlino Blond & Bieber utilizza le alghe per creare colori. Johanna Glomb e Rasa Weber di Blond & Bieber affermano che è davvero facile realizzare colori resistenti alla luce senza uso di sostanze chimiche pesanti, e di essere stati interessati per la prima volta al potere delle alghe mentre osservavano le diverse specie in un istituto di ricerca di Stoccarda, in Germania. “Ciò che ci ha catturato sono stati tutti i diversi colori”, dice Glomb. “Ci aspettiamo sempre che le alghe siano verdi, ma abbiamo scoperto che ci sono diversi tipi di colori. Ci sono oltre il verde, anche il blu, l’arancione e il rosso. Dopo aver studiato le diverse specie di microalghe che popolano fiumi e torrenti in tutta Europa, Glomb e Weber hanno optato per una tavolozza “algaemy” che poi hanno stampato su una serie di capi in cotone e scarpe di cuoio. Ma a differenza dei coloranti stabili alla luce normalmente usati sui vestiti, i colori “alghemici” cambiano nel tempo. Un verde potrebbe sbiadire in un blu, per esempio. “Li chiamiamo ‘colori viventi'”, aggiunge Weber. “Vogliamo proporlo come una qualità dei prodotti”. In natura tutto può trasformarsi, anche il letame dei bovini viene salvato e trasformato in un biotessuto che entra così a far parte del sempre più crescente numero di filati naturali usati nel settore della moda. Mestic è il risultato di un processo innovativo ideato da Essaïdi insieme a BioArt Laboratories, che parte dalla cellulosa contenuta all’interno del letame per creare nuovi materiali ecocompatibili come plastica, carta e tessuti naturali. Gli allevamenti intensivi sono una delle principali cause dell’inquinamento atmosferico, il processo di decomposizione del letame è responsabile dell’emissione di ossidi di azoto, ovvero di gas serra dannosi per il Pianeta. Ma il letame possiamo anche considerarlo prezioso perché ci sono tante sostanze nutrienti, agenti chimici, fosfato e cellulosa che si possono riutilizzare. Ad assorbire questi ricchi nutrienti che compongono il letame sono anche i funghi, che crescono appunto su queste sostanze. E dalla radice del fungo nasce MycoTEX, un materiale biodegradabile al 100% a base di micelio, (la radice dei funghi). MycoTEX è allevato in modo sostenibile in un laboratorio, quindi non c’è bisogno di terreni agricoli costosi o delle influenze stagionali. Non serve acqua e niente prodotti chimici o pesticidi. Un abito dismesso si può semplicemente seppellire nel terreno e si decomporrà. Anche il cappello del fungo può essere utilizzato. Dal cappello del Phellinus ellipsoideus, una specie di fungo gigante non commestibile originario delle foreste subtropicali che trae nutrimento dal tronco degli alberi, si estrae un materiale che viene sottoposto a trattamenti simili alla concia, ma totalmente naturali, e si trasforma in pelle vegetale che al tatto si presenta simile al camoscio. Con Muskin si amplia ulteriormente la proposta di alternative ecologiche in grado di sostituire la pelle per proteggere animali, persone e ambiente. Muskin, dell’azienda Zero Grado Espace di Montelupo Fiorentino, rappresenta una soluzione sia dal punto di vista etico che ambientale. Intorno all’industria conciaria si dibatte da anni riguardo la questione etica di utilizzare cadaveri di animali per realizzare capi d’abbigliamento. Le proposte per un’alternativa alla pelle animale sono varie. Wineleather è una pelle vegetale tutta italiana ricavata dai rifiuti prodotti durante la vinificazione. Il progetto salva le vinacce (ricche di fibre e oli) provenienti dalla produzione del vino riutilizzandole per la creazione di una similpelle cento per cento naturale e cruelty-free. L’architetto Gianpiero Tessitore, creatore del progetto, è stato mosso dall’esigenza di creare un’alternativa alle solite pelli animali e sintetiche che sono causa di inquinamento durante il loro processo produttivo e il loro smaltimento per via dell’utilizzo di sostanze non rinnovabili, oltre che impattanti. L’Italia è il più grande produttore di vino, ciò ovviamente, gioca un ruolo importantissimo nel rendere il nostro Paese il territorio ideale per la lavorazione di Wineleather, si tratta di un modello di economia circolare collegato alla filiera vinicola, in uno scenario in cui i rifiuti diventano la risorsa che dà vita a un prodotto innovativo dal grande valore aggiunto per l’industria conciaria e per l’intero mondo della moda. Un tessuto cento per cento naturale in grado di sostituire la pelle è stato scoperto anche da un’imprenditrice spagnola. Carmen Hijosa, ha brevettato un nuovo tessuto ottenuto dalle fibre delle foglie d’ananas. L’idea è nata durante un viaggio di lavoro nelle Filippine dove, scioccata dalla realtà delle concerie, consapevole che le alternative in PVC non erano la soluzione, ha maturato l’intenzione di sviluppare un materiale sostenibile che si prestasse, esattamente come la pelle, alla produzione di borse, scarpe e altri prodotti tessili. L’ispirazione è arrivata dopo aver osservato il ‘barong talong’, una tradizionale camicia filippina intessuta con fibre di foglie d’ananas. Dopo cinque anni di ricerche svolte tra la Spagna e il Regno Unito, è nato Piñatex, un materiale ricavato dalle foglie d’ananas (per un metro quadro ne servono all’incirca 480) e lavorato senza tessitura. Si tratta di una fibra esclusivamente ecologica e biodegradabile in quanto deriva da elementi di scarto del frutto che non richiedono aggiunta d’acqua o fertilizzanti e, inoltre, funge da concime al momento del suo smaltimento. Novità assoluta è il tessuto The Breath, che reduce e assorbe gli inquinanti presenti nell’aria. Realizzato dalla startup Anemotech Srl, The Breath è composto da due strati esterni in tessuto idrorepellente – con proprietà battericide, antimuffa, e antiodore – e da un ulteriore strato intermedio in fibra a carboni attivi unita da nanomolecole in grado di separare, trattenere e disgregare le micro particelle inquinanti presenti nell’atmosfera. Si tratta di un tessuto passivo a basso impatto ambientale, che lavora ad energia zero e sul circolo d’aria già presente. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. I sistemi economici devono funzionare come organismi, in cui le sostanze nutrienti sono elaborate e utilizzate, per poi essere reimmesse nel ciclo sia biologico che tecnico. Il ciclo della natura è perfetto, bisogna semplicemente ispirarsi ad esso. di Annapaola Brancia d’Apricena