OGR di Torino presenta: Forgive me, distant wars, for bringing flowers home
16 Luglio 2018 - di Claudia Montanari
Scostumista – Alle Officine Grandi Riparazioni di Torino si è inaugurata lo scorso 12 luglio la mostra Forgive me, distant wars, for bringing flowers home, curata da Abaseh Mirvali, prima personale italiana del trio iraniano composto dagli artisti Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian. La mostra nasce come sviluppo del Premio OGR assegnato a Rokni Haerizadeh durante l’edizione 2017 di Artissima.
‘Forgive me, distant wars, for bringing flowers home’ vuol essere una dimostrazione site specific di come il trio iraniano sviluppa in modo eterogeneo la loro pratica artistica. I tre artisti, usando il Duomo delle OGR – Officine Grandi Riparazioni come atelier temporaneo, hanno messo in scena il loro eccentrico mondo grazie a una rodata pratica collaborativa e a un processo creativo che esalta una filosofia di lavoro basata su una realtà condivisa e l’inclusione degli altri. Consapevoli che la loro pratica non comprende solo ciò che producono direttamente, ma anche i contributi di altre persone – artisti, falegnami, allestitori, tecnici, light designer – Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian rifiutano il concetto di autorialità, includendo nelle loro opere tutti coloro che diventano parte del processo creativo e produttivo. Il senso del lavoro non sta nel risultato finale, ma nell’intero processo di esplorazione che porta a quel risultato. ‘Forgive me, distant wars, for bringing flowers home’ si concentra dunque su questo aspetto processuale e inclusivo della pratica artistica del trio, svelandone in qualche modo il dietro le quinte. Parte integrante della loro pratica collaborativa è la creazione di una serie di alter ego – o dastgah, parola che nella lingua farsi significa dispositivo o macchina, e nella musica tradizionale iraniana si riferisce al termine tecnico di matrice melodica – che permettono ai tre artisti di giocare con le loro identità individuali, lavorando su temi legati al linguaggio, allo spazio vuoto, al potere, alla trasformazione, all’appartenenza, al dislocamento, all’esilio, al dolore e alla distruzione. Trasformandosi in dastgah, gli artisti eseguono un atto continuo e ripetitivo come se fossero macchine per dipingere, con il corpo coperto da un assemblaggio di oggetti. Sono personaggi antropomorfi, fitomorfi o zoomorfi, con qualche tipo di limitazione sensoriale o motoria che, secondo gli artisti, permette loro di affinare gli altri sensi. L’idea alla base della creazione di questi alter ego è quella di presentare i corpi degli artisti come ospiti di creature dal regno delle immagini. Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian, usando il meccanismo della citazione e della decontestualizzazione, parlano con apparente leggerezza di contenuti specifici, dal potenziale anche fortemente drammatico, costringendo lo spettatore a rileggere e reinterpretare la realtà con nuovi occhi e una nuova consapevolezza. Il percorso della mostra è articolato in una serie di installazioni e ambienti progressivi in stretto dialogo tra loro.
Fino al 30 settembre 2018. di Annapaola Brancia d’Apricena