Fabrizio Corona: “Il carcere mi ha reso migliore”. E riabbraccia Carlos
21 Novembre 2013 - di Claudia Montanari
MILANO – Per la prima volta Fabrizio Corona, dopo 10 mesi di carcere, può riabbracciare il figlio Carlos e l’ex moglie Nina Moric. Il Tribunale dei minori aveva dato il benestare di far incontrare Carlos con il padre già da tempo ma solo in questi giorni Nina Moric ha accompagnato il bambino dal papà. I fotografi di Novella 2000 hanno immortalato il piccolo Carlos con la mamma Nina e la nonna la nonna Gabriella, mamma dell’ex re dei paparazzi. Come si legge su Novella 2000, dall’incontro “ne è uscito un abbraccio struggente che ha dato a Fabrizio Corona la forza di andare avanti e di tenere duro fino al prossimo colloquio, previsto già prima di Natale”.
Ma Fabrizio Corona in questi giorni è tornato a far parlare di sé anche per una lettera, scritta in carcere, indirizzata alla redazione del programma Verissimo e pubblicata dal quotidiano Libero: “Il carcere -spiega Fabrizio Corona- mi ha reso una persona migliore”
“A chiunque incontro e mi chiede come sto – scrive Fabrizio – rispondo sempre la stessa cosa: ‘Sto bene, molto bene’. Ma risponderei così anche dopo 30 coltellate, sanguinante, in fin di vita. Ho sempre risposto così, a tutti. Penso che dopo la scoperta di una grave malattia, il carcere sia la cosa più brutta che possa accadere ad un uomo. È la realtà dell’inferno in terra, dove colpevoli e innocenti sono costretti a vivere in condizioni vergognose e disumane nell’indifferenza istituzionale. Io però, in questo momento, non provo più rabbia, né rancore per chi mi ha condannato e inflitto questa pena così eccessiva e così assurda, ma anzi lo ringrazio perché mi ha dato la possibilità di capire tante cose, mi ha aiutato a riconoscere i tanti sbagli, ad ammettere gli errori, a guardarmi dentro, nel profondo della mia anima e a capire finalmente, a quasi quarant’anni, chi sono e cosa voglio veramente”.
Fabrizio Corona prosegue:
“Il mio avvocato mi dice sempre: ‘Sii forte del fatto che ciò che è giusto alla fine vince’, e io continuo a combattere come ho fatto dal primo giorno che sono entrato in questo nuovo mondo, con questa nuova vita, per dimostrare che nei momenti di difficoltà si deve niente affatto ripiegare le ali, abbassare il tiro, ma anzi, tentare di rilanciarsi lavorando sui propri margini di miglioramento e sulla riscoperta dei valori veri e dei sentimenti come l’orgoglio e il coraggio, perché alla fine, quello che conta veramente (nothing else matter) è il carattere e il cuore che metti nella tua vita. Bisogna saper rispondere alla disperazione con un sorriso di sfida e il dito medio alzato. E questo, oggi, deve essere d’esempio e di aiuto ai molti che pensano di non farcela e decidono di lasciarsi andare… Io non l’ho fatto e mai lo farò!”.
E ancora:
“Stare in prigione in questo paese è come morire lentamente, ma io continuo a vivere lo stesso, di notte, nei miei sogni, anche attraverso i ricordi di quella che è stata la mia incredibile vita: le tante emozioni provate, il grande amore dato e quello ricevuto, convinto, ancora oggi, che i sogni, se li desideri veramente e fai di tutto per raggiungerli, prima o poi diventano realtà. Oggi, chiuso dentro la mia cella, la numero 1 del primo reparto del carcere di massima sicurezza di Opera, guardandovi seduto dal mio sgabello di legno mezzo rotto, attraverso un minuscolo televisore degli anni Settanta, voglio vedere mia madre sorridere: ha già pianto e sofferto troppo. Un bacio e un ringraziamento speciale a te, Silvia. Con affetto”.
Foto: Novella 2000