Anoressia e bulimia, disturbi alimentari per “esercitare il controllo”
14 Maggio 2015 - di Mari
ROMA – Anoressia e bulimia: una piaga che colpisce 3 milioni di italiani. E tra loro 2,3 milioni di adolescenti. Soprattutto donne: il 95% dei malati, infatti (perché di malattie si tratta), sono donne, anche se il fenomeno è in crescita anche tra gli uomini, come sottolinea Nicla Panciera sul Secolo XIX.
In Italia la fascia d’età più colpita è quella tra i 18 e i 24 anni, che vede il 2% delle donne soffrire di anoressia, il 4% di bulimia e il 6,2% di altri disturbi alimentari, come il binge eating (le abbuffate incontrollate di cibo). Del resto sono tutti disturbi alimentari legati al controllo.
Si vorrebbe cambiare qualcosa di sé, della propria vita, delle proprie relazioni sugli altri, e si influisce su un punto dove si può influire effettivamente, e con risultati visibili: il proprio peso.
Le cause possono essere scarsa autostima, insicurezza, mancanza di attenzioni da parte dei genitori, perfezionismo. Spiega Nicla Panciera sul Secolo XIX:
“L’aspetto psicopatologico centrale, considerato il nucleo del problema, è il cosiddetto disturbo dell’immagine corporea. In generale, la corporeità e la sua percezione non dipendono unicamente dalle caratteristiche fisiche dell’individuo, è globalmente plasmato dalle sue convinzioni, dal suo vissuto e dal contesto sociale che, nei giovani, è particolarmente decisivo. «Il comportamento alimentare diventa così un correttivo di tale immagine di sé» e così «le ragazze che si vedono troppo grasse, ma anche troppo basse, percepiscono il peso come l’unico fattore sul quale è possibile intervenire. Lo stesso per i ragazzi, in particolare coloro che hanno dei dubbi sulla propria virilità e vogliono quindi avere un corpo mascolino» spiega lo psichiatra che si dice convinto di una rapida traduzione in strategie terapeutiche di queste recenti scoperte.
Controllare il peso, l’alimentazione, il rendimento scolastico e i pasti dei parenti: l’idea del controllo è fondamentale in queste persone dall’enorme motivazione e forza di volontà. «Indulgenti verso il corpo degli altri, provano schifo e disgusto per il proprio e mettono in atto delle strategie che hanno la caratteristica cognitiva del “tutto o nulla” che li porta a evitare del tutto il cibo piuttosto che ridurne la quantità» spiega Gianluigi Mansi responsabile della divisione di psichiatria degli Istituti Clinici Zucchi di Monza e del Servizio per Disturbi Alimentari dell’IRCCS Medea a Bosisio Parini.
Ma i rimedi ci sono. Innanzitutto occorre l’aiuto di un nutrizionista. Ma soprattutto è fondamentale che a seguire il malato o la malata ci sia uno psicoterapeuta. Spiega ancora Mansi al Secolo XIX:
«Per il buon esito dell’intervento, è necessario attendere il momento migliore per un agguato (benevolo) da sferrare quando diminuisce la resistenza a collaborare perché il braccio di ferro con un paziente così tenace e volitivo non porterebbe ad alcun risultato» spiega Mansi. La strategia è cercare la complicità del paziente negoziando di volta in volta gli obiettivi (“devi nutrirti bene per affrontare l’esame di maturità”), senza focalizzarsi sul peso. Ai parenti, oltre a fornire supporto, bisogna spiegare che per mesi potrebbe non accadere nulla.