Cancro alla prostata, i cibi che aumentano il rischio
4 Dicembre 2019 - di Silvia_Di_Pasquale
Gli uomini che mangiano bistecche, hamburger e pizza hanno un rischio più elevato di cancro alla prostata rispetto ai loro coetanei vegani. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato la scorsa settimana su Nature Communications. I ricercatori della McGill University hanno scoperto che un gene coinvolto nella progressione del cancro alla prostata (noto come MYC) è alimentato da cibi grassi. Come si legge sul Daily Mail, la ricerca ha coinvolto i dati genetici di 319 pazienti con carcinoma della prostata. E’ risultato che un intervento dietetico, tagliando carne e grassi saturi, ha rallentato e avuto un impatto positivo contro i segni della malattia.
“L’MYC è un fattore chiave nella tumorigenesi, cioè induce proprietà maligne nelle cellule normali e alimenta la crescita delle cellule tumorali”, spiega David P. Labbé, assistente professore nel dipartimento di chirurgia della divisione di urologia della McGill University. “Studi epidemiologici hanno precedentemente riferito che l’assunzione di grassi saturi è associata alla progressione del cancro alla prostata”, ha detto Labbé. “Il nostro studio fornisce una base meccanicistica a questo collegamento e una base per sviluppare strumenti clinici volti a ridurre il consumo di grassi saturi e aumentare le probabilità di sopravvivere”.
L’impatto del tumore della prostata metastatico sulla quotidianità dei pazienti che sviluppano sintomi correlati alla malattia può essere importante. Arrivando, in alcuni casi, a non dormire o a camminare per il dolore. Secondo i dati forniti nel 2017 dalla Fondazione ISTUD, il 62% avverte il bisogno di stare a letto o su una sedia per alcune ore del giorno, il 52% ha difficoltà nel fare anche solo una breve passeggiata fuori casa, il 78% non è in grado di svolgere attività faticose o di portare oggetti pesanti come la busta della spesa. Il dolore, in particolare alle ossa, rappresenta uno dei sintomi debilitanti per questi malati: il 61% è colpito da questo disturbo, che nel 50% è tale da impedire di svolgere semplici attività quotidiane (l’85% afferma infatti di sentirsi debole).