Colesterolo cattivo, il tipo di olio che può aumentarlo

Colesterolo cattivo, come capire se si è a rischio infarto

20 Novembre 2019 - di Claudia Montanari

ROMA – Il colesterolo è un grasso presente nel sangue e in tutti i tessuti. In quantità fisiologiche, è una sostanza indispensabile per la costruzione di cellule sane e per il nostro benessere ma quando i suoi livelli salgono può costituire un fattore di rischio. Il colesterolo in eccesso, infatti, può causare la formazione di depositi di grasso nei vasi sanguigni che, a lungo andare, contribuiscono a restringerne il lume provocando infarto e ictus. Esistono due tipi di colesterolo, quello LDL, conosciuto anche come “cattivo” perché trasporta l’eccesso di colesterolo dal fegato alle arterie e lo rilascia nei vasi con conseguente aterosclerosi; e il colesterolo HDL, conosciuto come quello “buono”, perché favorisce la rimozione del colesterolo dal sangue e la sua eliminazione attraverso i sali biliari, proteggendo di fatto il cuore e i vasi.

Tuttavia, una recente ricerca ha dimostrato che il colesterolo cattivo non è il solo elemento da controllare per capire se si è a rischio di infarti o malattie coronariche. C’è un indicatore migliore ed è un particolare tipo di Ldl, una sottoclasse di lipoproteine a bassa densità. Questo colesterolo ‘davvero cattivo’ riesce a predire molto meglio gli eventuali problemi all’apparato cardiovascolare più del dato della semplice presenza dell’Ldl.

È quanto emerge da uno studio dell’Università dell’Ohio che afferma come, delle tre sottoclassi che compongono l’Ldl, solo uno causa danni significativi. “I nostri studi possono spiegare perché una correlazione del colesterolo” cattivo “totale con un rischio di infarto è scarsa e pericolosamente fuorviante, ed è sbagliata per i tre quarti delle volte”, ha detto Tadeusz Malinski, ricercatore che ha condotto l’analisi che precisa come le linee guida dovrebbero analizzare i valori della sottoclasse B dell’Ldl quando si trova a comporre più del 50% del totale del colesterolo cattivo.

Secondo gli studiosi, la sottoclasse B dell’Ldl è risultata essere la più dannosa per la funzione endoteliale (il tessuto che compone i vasi sanguigni e il cuore) e può contribuire allo sviluppo dell’aterosclerosi. Dunque, stando alla ricerca pubblicata sull’International Journal of Nanomedicine, non è la quantità totale di Ldl che si ha, ma piuttosto la concentrazione della sottoclasse B in relazione alle altre due (la sottoclasse A e la sottoclasse I) che dovrebbe essere utilizzata per diagnosticare l’aterosclerosi e il rischio di infarto.