ROMA – E’ una vera e propria malattia invalidante, con effetti di non poco conto sulla vita di tutti i giorni. E’ la colite, o sindrome del colon irritabile. Per anni, sottolinea Fabio Di Todaro sul Secolo XIX, chi ne soffre è stato etichettato come malato immaginario, vittima di un disturbo psicosomatico. Ma la colite non è un disturbo psicosomatico. Nasce dal tratto digerente e ha effetti anche sulla mente. Quasi un paziente su due, infatti, soffre di ansia, mentre uno su dieci ha episodi depressivi.
A soffrire di colite sono soprattutto le donne. A preoccupare di più gli esperti è il fatto che la diagnosi arriva tardi. Spiega DI Todaro:
“In ospedale arriva soltanto chi accusa i sintomi più acuti: dolori addominali intensi e forte irregolarità nell’emissione delle feci. Molte altre persone si perdono, tra gli ambulatori dei medici di base e i consigli dei farmacisti. Per inquadrare la sindrome del colon irritabile, in assenza di marker specifici, si procede a una diagnosi differenziale. Prima si esclude la presenza di celiachia, sensibilità al glutine (ma i due disturbi spesso coesistono), morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa. Dopodiché, se i disturbi ricorrono da almeno tre mesi e non si registra un dimagrimento o l’insorgenza di anemia, si segue la direzione del colon irritabile. L’attacco avviene in due mosse: correzione delle abitudini alimentari (drastica riduzione di latticini, cereali e legumi) e terapia farmacologica, con antispastici, lassativi e antidiarroici.
L’impatto della colite sul paziente è forte come quello del diabete o del reflusso gastroesofageo. Solitamente la sindrome da colon irritabile colpisce chi ha meno di quarant’anni, si ritrova nella fase ascendente della carriera professionale ed è costretto a ridurre drasticamente gli impegni, sia sociali sia professionali. E a spendere soldi, tanti soldi, in visite mediche ed esami che, a differenza delle diagnosi per celiachia e altre malattie infiammatorie intestinali, nel caso della colite sono tutte a carico del paziente. E possono costare anche 1.200 euro l’anno.
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