Diabete ed erezione, il Viagra alza l’insulina…
20 Novembre 2015 - di Mari
WASHINGTON – Combattere il diabete e i problemi di erezione allo stesso tempo. Uno studio dell’Università di Nashville rivela gli inaspettati poteri del Viagra, in grado di alzare l’insulina. Le pasticche a base di sildenafil, principio attivo del Viagra, sono infatti di aiuto per chi soffre di diabete, oltre che per chi ha problemi sotto le lenzuola, come spiega Monia Sangermano in un articolo ripreso da Dagospia.
I ricercatori americani hanno scoperto che il principio attivo del Viagra è in grado di migliorare la sensibilità all’insulina nei soggetti che sono in una fase di pre-diabete, con un rischio alto di sviluppare la malattia.
Spiega Monia Germano:
“L’insulinoresistenza che in genere precede lo sviluppo del diabete di tipo 2 è caratterizzata da alti livelli di zucchero nel sangue, perché l’organismo non riesce a produrre abbastanza insulina per eliminarlo. Ora gli scienziati hanno scoperto che il sildenafil, ovvero il principio attivo del Viagra, “potrebbe offrire una nuova strada per affrontare il crescente numero di diagnosi di diabete”, sottolinea Nancy J. Brown, co-autrice della ricerca”.
I ricercatori hanno seguito 51 persone in sovrappeso e con pre-diabete, alcune delle quali sono stati trattati con il sildenafil e altre con un placebo per tre mesi. Ai pazienti sono state fatte analisi del sangue e delle urine all’inizio e alla fine del trattamento, proprio per valutare i livelli di insulina.
Coloro che avevano assunto i farmaci a base di sildenafil, spiega sempre Germano,
“sono stati più sensibile agli effetti dell’insulina e ha avuto i livelli più bassi di albumina nelle urine rispetto a chi aveva preso il placebo. “Elevati livelli di albumina sono un marker di rischio per le malattie renali e cardiache – avvertono i ricercatori – molti farmaci che si usano oggi per prevenire il diabete di tipo 2 possono avere effetti negativi sul cuore e spesso non possono essere usati da chi ha malattie renali. In questo modo il sildenafil è una nuova alternativa, sui cui però sono necessari ulteriori studi soprattutto per verificare l’efficacia a lungo termine nei pazienti ad alto rischio”.