Digiuno intermittente e diabete: cosa succede alla glicemia
10 Dicembre 2019 - di Silvia_Di_Pasquale
Fare il digiuno per 14 ore al giorno potrebbe ridurre i rischi di diabete, ictus e malattie cardiache, aiutando le persone obese a perdere peso e ad abbassare la glicemia. E’ quanto emerge da un nuovo studio dell’Università di San Diego, in California, secondo cui mangiare in qualsiasi momento in una finestra di 10 ore – ma solo in questo arco temporale- riduce i rischi di patologie croniche legate alla sindrome metabolica.
La ricerca su 19 persone con la sindrome, la maggior parte delle quali obese, ha avuto un riscontro positivo sulla salute. Molti hanno visto riduzioni della glicemia e anche dei livelli di pressione. Prima dello studio, i partecipanti avevano riscontrato difficoltà a sconfiggere il diabete, ma per i ricercatori questo approccio all’alimentazione potrebbe essere utile per superare la malattia.
“Una volta che le persone diventano diabetiche o assumono più farmaci come l’insulina, è molto difficile invertire il processo della malattia”, ha spiegato il co-autore dello studio Dr Pam Taub. “Come cardiologo preventivo, cerco di lavorare con i miei pazienti e li incoraggio a cambiare stile di vita, ma è molto difficile convincerli a fare cambiamenti duraturi e significativi”, ha specificato Taub. “Si è discusso molto sul digiuno intermittente e sull’ora in cui le persone dovrebbero mangiare all’interno della finestra per ottenere i benefici di questo tipo di dieta”, afferma un altro autore dello studio, Satchidananda Panda.
“Questo tipo di intervento dietetico – ha spiegato all’Ansa Francesco Purrello dell’Università di Catania e Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – è collegato al mantenimento di ritmi circadiani (o in altri termini l’alternanza di luce e buio, i ritmi sonno-veglia e tutto ciò che ad essi si collega) favorevoli per il metabolismo. I ritmi circadiani, veri e propri orologi biologici, svolgono un ruolo determinante per il funzionamento di molti sistemi ormonali o nervosi – precisa Purrello. Si tratta di risultati molto interessanti, anche perché ottenuti senza apparenti variazioni nelle abitudini alimentari o di attività fisica dei soggetti partecipanti allo studio”.