Disturbi alimentari, + di 3mila vittime all’anno in Italia. Età esordio sempre più bassa
12 Marzo 2018 - di Silvia_Di_Pasquale
ROMA – Se ne parla, ma evidentemente non abbastanza. I disturbi alimentari fanno ancora molte (troppe) vittime in Italia. I dati sono decisamente allarmanti: 3.240 nel 2016, e riguardano tre milioni e mezzo di persone. Eppure, si fa ancora fatica a riconoscerli, con una grande confusione tra sintomi e manifestazioni. Un’ignoranza che può rivelarsi fatale.
I disturbi alimentari sono un problema ancora grave e anzi riguardano sempre nuovi soggetti, ricordano gli esperti in occasione della giornata del Fiocchetto lilla che si celebra il 15 marzo.
“Purtroppo il numero dei pazienti non accenna a diminuire“, osserva Laura Dalla Ragione, responsabile del numero verde della Presidenza del Consiglio dei ministri 800180969. “Secondo l’Osservatorio del ministero della Salute sono più di 3 milioni le persone ammalate. Si è abbassata moltissimo l’età di esordio, si ammalano bambini di 8-10 anni, con conseguenze più gravi. Si sono diffusi anche i Disturbi Selettivi nell’infanzia”.
La giornata, spiega Dalla Ragione, è stata istituita 7 anni fa da Stefano Tavilla, presidente dell’associazione “Mi nutro di vita” e padre di Giulia, una ragazza morta per problemi legati alla bulimia mentre era in lista di attesa per entrare in un centro cpecializzato.
“In molte regioni italiane non ci sono strutture – sottolinea l’esperta – e questo determina una migrazione, con gravi ritardi nelle cure e nella diagnosi”. Il ministero della Salute, segnala Dalla Ragione, ha messo a punto una mappa delle strutture e delle associazioni su www.disturbialimentarionline.it.
Inoltre, chi soffre di anoressia o bulimia rischia è anche a rischio depressione. Un concetto forse scontato a parole, che tuttavia ora può avere anche una spiegazione scientifica. Tanto l’anoressia quanto l’obesità potrebbero portare al deficit di una “molecola del benessere”, l’”allopregnanolone”, predisponendo l’organismo a depressione e ansia. Lo aveva reso noto lo scorso novembre uno studio firmato dall’italiano Graziano Pinna dell’Università dell’Illinois e pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology.