Dolore cronico: chi ne soffre ha 3 probabilità in più di ammalarsi di depressione
19 Settembre 2021 - di Claudia Montanari
Chi soffre di dolore cronico triplica le probabilità di depressione e per il 20% sono necessari trattamenti farmacologici. I problemi psicologici riguardano circa il 30-40% degli oltre 15 milioni di italiani con dolori cronici, che si ritrova a lottare con variazioni di umore più o meno gravi, fino a quanti dovrebbero ricorrere a trattamenti farmacologici (sono circa il 20%).
E’ questo il focus di una relazione presentata nel corso del Congresso Nazionale di FederDolore SICD (Società Italiana Clinici del Dolore) a Bologna c/o lo Star Hotels Excelsior (15-17 settembre).
La psico-algologia per spiegare le dinamiche del paziente con dolore cronico
Un circolo vizioso quello della depressione e del dolore cronico, che si autoalimentano. Mery Paroli, psicologa e psicoterapeuta, spiega: “Il dolore cronico è un’esperienza complessa con risvolti psicologici che possono portare all’isolamento dell’individuo dovuto spesso al peggioramento della qualità della vita. Un cambiamento che si traduce per almeno il 40% dei pazienti in cambiamenti del tono dell’umore che andrebbero subito presi in considerazione e valutati correttamente. Chi soffre di dolore cronico rischia 3 volte di più di ammalarsi di depressione. Mentre chi soffre di depressione si ammala tre volte più spesso di dolore cronico. Ma nel dolore cronico associato a depressione quest’ultima molto spesso viene sotto-diagnosticata o non trattata. Se lo fosse i pazienti potrebbero trarre beneficio da un trattamento multidisciplinare”.
Nei giovani si esprime sotto forma di rabbia
La rabbia si manifesta nei pazienti che percepiscono la propria vita limitata, impossibilitati a realizzare i propri progetti. E che vivono ripetuti fallimenti terapeutici e i sintomi persistono nel tempo.
“E’ un fenomeno che riscontriamo soprattutto tra la popolazione più giovane, che affronta questa situazione in modo molto aggressivo, ferito dal fatto di aver subito un’ingiustizia e senza un possibile riscatto. Vi è anche una rabbia rivolta verso se stessi – prosegue PAROLI – in cui il giovane si sente incapace di risolvere la situazione che lo affligge e continua a vivere passivamente. Si è visto come questo tipo di rabbia è poi associato a una maggior intensità del dolore e soprattutto alla depressione”.
Il ruolo dello psicologo riconosciuto come parte integrante
Le linee guida internazionali confermano il ruolo dello psicologo tra le figure da includere nell’equipe di specialisti per la valutazione e il trattamento del dolore cronico. E’ riconosciuto come parte integrante, e non opzionale, del processo di cura.
“È fondamentale integrare i trattamenti farmacologici con una psicoterapia specifica per ridurre il disagio psicologico e la sofferenza che si accompagnano al dolore cronico. È chiara la priorità di intervento sul dolore” avverte PAROLI. “Ma non per questo devono essere trascurate le conseguenze a breve e lungo termine che questi disagi legati all’umore possono scatenare. Andare dallo psicologo può percepito come un palliativo per distrarre il paziente lamentoso o che sta esagerando. In realtà il nostro lavoro è quello di anticipare comportamenti che possono compromettere il benessere generale del paziente e l’outcome delle terapie”.
“Crediamo molto in questa sinergia – ribadisce Giuliano DE CAROLIS, Presidente Federdolore-SICD – e nei benefici che riscontriamo sui pazienti. Definire il dolore cronico solo da un punto di vista medico – clinico, sarebbe riduttivo e limitante. L’approccio psicologico consente di valutare anche il ruolo della dimensione psicologica e del contesto sociale nei riguardi del dolore, caregiver compresi”.