Donne in carriera: troppo lavoro fa male. Ecco cosa rischiano
17 Giugno 2016 - di Silvia_Di_Pasquale
Donne in carriera: troppo fa male. Ecco cosa rischiano. Investire troppe ore nella carriera può essere, per le donne, un errore da pagare a caro prezzo. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Occupational and Environmental Medicine, coloro che lavorano in media 60 ore a settimana sembrano triplicare il rischio di malattie cardiache, diabete, cancro e artrite. Il problema, invece, non sembra riguardare gli uomini. I ricercatori, guidati da Allard Dembe, professore di gestione dei servizi sanitari presso la Ohio State University, negli Stati Uniti, utilizzando interviste a 7.500 uomini e donne che facevano parte del National Longitudinal Survey of Youth, hanno confrontato il numero di ore settimanali lavorate per 32 anni con l’incidenza precoce di otto malattie croniche: malattie cardiache, cancro (eccetto quello della pelle), artrite o reumatismi, diabete o glicemia alta, malattie polmonari croniche, tra cui bronchite o enfisema, asma, depressione e pressione alta. Una minoranza degli intervistati ha riferito di lavorare meno di 40 ore a settimana, il 56% in media da 41 a 50 ore, il 13% da 51 a 60 ore e il 3% più di 60 ore.
Limitatamente alle donne, tra coloro che avevano lavorato 60 e più ore settimanali, l’analisi ha rilevato un rischio triplo di malattie cardiache, cancro, artrite e diabete. Ma il rischio prende una brutta piega già superando le 50 ore. Gli uomini che avevano lavorato molto, invece, mostravano maggiore incidenza di artrite, ma nessuna delle altre malattie croniche. E quelli che avevano lavorato moderatamente (da 41 a 50) avevano un più basso rischio di malattie cardiache, polmonari e depressione rispetto a chi aveva lavorato meno.
Depressione e stress non lasciano i loro segni solo sul viso, ma sul Dna, accorciando la vita e facendo invecchiare prima. Detto in altre parole, le persone di buonumore hanno buone possibilità di vivere più a lungo e di rispondere meglio allo stress. Sono stati infatti identificati i geni che modulano gli effetti dell’umore e la risposta allo stress nell’arco della vita. Il risultato, pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, si deve ai ricercatori dell’università dell’Indiana coordinati da Alexander Niculescu. La scoperta, che fornisce le prime prove concrete a sostegno di un’ipotesi formulata da tempo, è stata possibile grazie a due diversi filoni di test: uno condotto sui vermi più studiati dai genetisti, i Caenorhabditis elegans, e l’altro sull’uomo. Passando in rassegna tutti i geni collegati sia all’umore che alla durata della vita, gli studiosi hanno individuato ”una serie di geni coinvolti nei disturbi dell’umore e dello stress, che sembrano influire anche nella longevità”, ha detto Niculescu.