Ictus cerebrale, meno sale a tavola per essere più protetti
7 Marzo 2016 - di Mari
NAPOLI – Ictus cerebrale, scoperto il fattore di rischio: è colpa della ridotta espressione di un gene, chiamato Ndufc2, che aumenta il rischio di ictus soprattutto se si segue un‘alimentazione ricca di sodio (cioè di sale). A dirlo è uno studio condotto dall’unità di Ipertensione arteriosa del dipartimento di Angiocardioneurologia dell’Irccs Neuromed di Pozzilli, in provincia di Isernia, spiega il Secolo XIX.
I ricercatori hanno eseguito degli esperimenti su due tipi di cavie: quelle spontaneamente predisposte ad essere colpiti da ictus e quelle resistenti a questa patologia.
Dalle analisi è emerso che nei topi predisposti all’ictus il gene Ndufc2 è espresso in misura ridotta rispetto agli altri. Come spiega il Secolo XIX,
“L’espressione di un gene è il processo attraverso il quale l’informazione contenuta nel Dna porta alla formazione della proteina corrispondente. Anche se l’informazione rimane sempre la stessa, esistono molti sistemi, chiamati epigenetici, attraverso i quali questo meccanismo viene aumentato o diminuito”.
Nel caso di questo studio, la ridotta espressione di Ndufc2 si traduce in una alterazione del complesso I dei mitocondri, cruciale per la loro funzionalità. Ma si può intervenire su questo processo attraverso l’alimentazione, come spiega al Secolo XIX la professoressa Speranza Rubattu, di Neuromed e dell’Università Sapienza di Roma e autrice della ricerca:
«La riduzione dell’espressione di Ndufc2 nei ratti predisposti all’ictus è decisamente più marcata quando questi animali vengono sottoposti a una alimentazione particolare, caratterizzata da un elevato quantitativo di sale. Gli stessi ratti, invece, se nutriti con una dieta standard, quindi meno ricca di sodio, mostrano una regolare attività mitocondriale. In altri termini, le alterazioni nel complesso I ci sono, certo, ma una dieta a normale contenuto di sodio sembra far entrare in gioco altri meccanismi, capaci di mantenere normali le funzioni dei mitocondri».
Questo è stato osservato anche negli esseri umani, in particolare alle persone colpite da ictus giovanile, quindi prima dei 45 anni.